Sciacca frastornata per tre mesi dal ciclone Germi-Sandrelli

Dall’archivio di la Repubblica

Sciacca. Estate 1963. La storia d’ amore fra Stefania Sandrelli e Gino Paoli è iniziata da poco. Lei, splendida diciottenne, è reduce dal successo di “Divorzio all’italiana”. Lui è già un cantautore famoso. All’inizio di luglio Stefania si reca in Sicilia per girare “Sedotta e abbandonata”. Pietro Germi l’ha scelta per farle interpretare la parte della timida e procace Agnese, sedotta e messa incinta dal fidanzato della sorella, Peppino Califano (Aldo Puglisi), il quale si rifiuta di sposarla perché considerata “buttana” da tutto il paese. A nulla valgono le insistenze anche violente di Vincenzo Ascalone (un magnifico Saro Urzì, Palma d’ oro come migliore attore a Cannes, e Nastro d’ argento a Venezia) che cerca di imporre il matrimonio per salvare l’onore della figlia. Alla fine, per evitare la galera ed una incriminazione per corruzione di minorenne (a quel tempo si diventava maggiorenni a 21 anni), il giovane sposa Agnese. Ma siccome la ragazza deve apparire illibata, viene organizzato un rapimento con conseguente “fuitina” che culmina nelle nozze riparatrici. Titolo iniziale: “L’ onore degli Ascalone” che diventa “E vissero insieme infelici e scontenti”. Scartati entrambi. La storia, secondo quanto prevede la sceneggiatura (Nastro d’ argento a Venezia, scritta da Age e Scarpelli, assieme a Luciano Vincenzoni) è ambientata in un piccolo paese al centro della Sicilia. Ma il film, in realtà, si gira a Sciacca, in provincia di Agrigento, dove nel ’48 Germi aveva fatto “In nome della legge”, restando affascinato dalla bellezza e dalla solarità del paesaggio. Quindici anni dopo eccolo di nuovo in questa cittadina di mare sovrastata dal monte San Calogero e caratterizzata dai castelli Perollo e Luna, dalle antiche chiese, dalle scalinate di pietra, dai palazzi nobiliari, da un’ampia piazza che si affaccia sulla spiaggia bianca che si allunga fino alla provincia di Trapani. Si lavora dalle sei del mattino alle cinque del pomeriggio. «In quei giorni Stefania Sandrelli fa amicizia con un giovane del posto, un giornale aggiunge qualche particolare piccante, Paoli viene in Sicilia e si trasferisce al Grand Hotel delle Terme, dove sono alloggiati gli attori. Fra lui e Stefania sorge qualche incomprensione, ma alla fine l’amore trionfa». Questo è quanto ricordano alcune persone coinvolte nella lavorazione del film. Aldo Boldrini, biologo, allora studente di 19 anni, interpretava due parti: il chitarrista che accompagnava Peppino Califano sotto il balcone di Agnese per la serenata notturna, e l’ autista della “Fiat 1400” utilizzata per il rapimento: «Quando fu girato “In nome della legge”, mio padre aveva aiutato la troupe ad allestire il servizio elettrico, così ebbi la possibilità di lavorare in “Sedotta e abbandonata”». L’esterno del Circolo Unione è il luogo dove Germi ambientò molte scene. Si trova nella centralissima piazza Scandaliato, ed è ubicato in un palazzo del 1500 che ospita anche il municipio. Accanto c’è il bar Santangelo dove Lando Buzzanca (fratello di Agnese) si beccò una manata sul muso da Saro Urzì (scena ripetuta ventotto volte), mentre chiedeva il gelato al pistacchio. Il Circolo Unione (fondato nel 1898) è rimasto tale e quale, i balconcini a pianterreno, i soci che leggono il giornale, il chiacchiericcio sulle cose del paese. Ad accompagnarci in questo “viaggio” nei luoghi di “Sedotta e abbandonata” è Pippo Navarra, appassionato conoscitore di tradizioni locali, all’epoca giovane studente che con una Seicento organizzava gite nella vicina Selinunte con alcuni attori, in primis Aldo Puglisi e Leopoldo Trieste (un magnifico barone Rizieri, anche lui Nastro d’argento a Venezia), morto nel gennaio del 2003. All’interno del circolo troviamo altre due comparse, Ignazio La Rocca e Calogero Sansone, che assieme a decine di personaggi popolarono gli incubi notturni di Agnese: una galleria di mostri ora grotteschi ora drammatici che Germi, secondo un’intervista rilasciata allora, volle deformare per evidenziare il dramma interiore della donna meridionale. «Il regista, seduto sul carrello, ci ripeteva dall’alto: “Dovete ingiuriarla, aggredirla, offenderla. Fatelo con violenza. Toccatela nelle parti più intime”. Per un istante restammo interdetti. Ci guardammo negli occhi, e ora che facciamo? Dopo una breve pausa decidemmo: il regista vuole questo? E questo avrà. Facemmo tutto con estrema aggressività». «Mentre le toccavo il sedere», ricorda Ignazio La Rocca, «Stefania si girò e mi mollò un ceffone, “ma questi sono proprio selvaggi”. Mi uscì un po’ di sangue dal labbro. L’ attrice si sedette accanto a me e si scusò con dolcezza». Seduto su una poltrona del circolo c’è Marco Santangelo, oggi settantenne, che fu scelto per fare il prete. Quando capisce che stiamo parlando di “Sedotta e abbandonata” chiude il giornale e recita la parte: «Vedete carissimo Ascalone, il matrimonio non è un mezzo per riparare un fallo. Ciò non significa che il fallo non ci sia». Tutti ridono. Malgrado gli anni trascorsi, gli abitanti di Sciacca sono profondamente legati a questo ricordo. Quei tre mesi del ’63 vengono considerati i più belli del dopoguerra: «Ognuno in famiglia aveva una persona che per tre mesi fece l’esperienza fantastica e magica del cinema». «Ogni comparsa», seguita Aldo Boldrini, «guadagnava 2800 lire al giorno. Io grazie al doppio ruolo di comparsa e di aiutante di produzione, riuscii a mettere da parte 300mila lire». Iana Fauci era una ragazzina quando fu scelta per fare una scena: «Quello che mi colpì fu il feeling creatosi fra la produzione e la gente del posto: le porte si aprirono con semplicità per tutta la troupe, mentre nei cortili si faceva la pulitura delle mandorle e la pelatura del cotone. Allora il paese era bellissimo, aveva una identità che oggi, grazie alla cementificazione selvaggia, ha perso. Sapeste quanti manufatti antichi sono stati demoliti per far posto a degli obbrobri di cemento armato”. Come l’edificio ottocentesco che ospitava l’ hotel Roma, e nel film fa da scenario al bordello del paese. E’ stato restaurato, invece, l’ex convento appartenente alla chiesa di Santa Margherita, la cui facciata servì come esterno della pretura dove venne celebrato il processo contro Peppino Califano. Qualche centinaio di metri e siamo nel vicolo Orfanotrofio: in quella porta c’era l’ agenzia di onoranze funebri di Pasquale Profumo (interpretato dal poeta di Sciacca, Vincenzo Licata), colui il quale organizzò il rapimento. Questo nel film. Nella storia il vicolo è tristemente famoso perché nell’immediato dopoguerra vi fu ucciso il sindacalista Accursio Miraglia, dirigente del movimento contadino di Sciacca. Da allora il paese ha mantenuto un grande affetto verso gli attori. A parte quelli già citati, il cast era completato da Lina La Galla (madre di Agnese), Rocco D’ Assunta e Lola Braccini (genitori di Peppino Califano), Umberto Spadaro e Gustavo D’ Arpe (avvocati rispettivamente degli Ascalone e dei Califano), Paola Biggio (sorella di Agnese), Oreste Palella (il maresciallo dei carabinieri), Adelino Campardo (il carabiniere Bisigato). Aldo Puglisi, come detto, impersonò il focoso e timido Peppino Califano. Catanese, vive a Roma da oltre quarant’anni e malgrado quaranta film all’attivo si considera soprattutto un attore di teatro. «Avevo vent’anni quando mi trasferii a Roma dove cominciai a frequentare il Centro sperimentale di cinematografia. Un giorno arrivò Francesco Massaro, aiuto di Germi, per scattare delle foto da sottoporre al regista. Insieme a tanta gente fotografarono anche me. Avevo una certa esperienza teatrale, ma non pensavo minimamente al cinema. Germi mi mandò a chiamare. Il regista mi intimoriva talmente tanto che quando finiva di parlare, dicevo sempre grazie e per l’imbarazzo cercavo di andare via. “Perché te ne vai?, parliamo ancora”. Quel disagio lo divertiva moltissimo. “Non so ancora quale parte affidarti. In ogni caso mi interessi molto”. Credo che fosse rimasto colpito dalla mia ingenuità. Mi chiamò tante volte per dei colloqui. Finché mi stabilì un provino. Fino a quando provai l’ intero film in una sola giornata. Mi fecero il contratto e partii per Sciacca. Tre mesi indimenticabili. Nel film Saro Urzì doveva prendermi a botte perché avevo sedotto la figlia. Gli raccomandai di non essere pesante. Nel trambusto fece finta di menare me, ma finì per menare i miei genitori che finirono in ospedale. Urzì era un tipo un po’ particolare. A volte scherzava in maniera pesante. Germi invece era un po’ solitario. Odiava sentire le baggianate (le chiamava così) degli attori. Era graffiante e ironico, per niente banale. Sciacca in quei giorni impazzì per il film: tutti volevano recitare, quando vedevano Germi lo chiamavano “dottore”. “Non sono dottore”, rispondeva lui, e lo scrisse pure su due cartelli che durante la lavorazione si sistemò a mo’ di sandwich. Era anche un po’ sgarbato e sapeva con chi arrabbiarsi. Una volta lo feci arrabbiare anch’io. A un certo punto col turibolo dovevo cospargere una chiesa di incenso. Ma non sapevo come usarlo. Non lo sapeva neanche Germi che si arrabbiò di brutto. Alla fine ce lo spiegò il sagrestano».

LUCIANO MIRONE

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