La poesia come magistero di educazione e di elevazione civile e politica – di Vincenzo Baldassano

0002f_ridNel primo anniversario della morte di Vincenzo Licata, avrei voluto scrivere qualcosa sulla sua poesia, ma rileggendo quanto scrissi sul poeta saccense circa 24 anni fa su un quotidiano dell’isola, ho creduto bene di ripubblicare l’articolo quasi per intero, perché il mio giudizio su Licata è rimasto immutato.
Certo, uno studio più accurato s’impone per inquadrare meglio la sua poesia, specie dopo la pubblicazione dell’Opera Omnia da parte del Comune di Sciacca che comprende tutta la produzione poetica del Licata dal 1936 fino ai giorni nostri e che ha preceduto di pochi mesi la morte del poeta, avvenuta nel gennaio dello scorso anno (1996 n.d.r.) all’età di quasi 90 anni.
Ancor giovane, Vincenzo Licata, costretto a solcare i mari per le necessità economiche della sua famiglia, cominciò a comporre versi che oggi non si contano più. Nella sua poesia si fondono assai bene ispirazioni varie, ma a noi più di tutto interessano le composizioni nelle quali egli appare poeta cantore del mare, dei suoi pescatori, fuori da ogni concezione di maniera convenzionale. Quando io leggo i versi di Vincenzo Licata, la mia fantasia corre agli anni della mia fanciullezza, allorché la pesca con le barche a vela costituiva la poesia del mare. Sembra un mondo scomparso nelle nebbie del passato, che appare remotissimo tanto i tempi, i costumi e i modi di pensare sono cambiati. Ma chi potrà impedire ai sogni di realizzarsi ancora nella poesia? Anche ad Acitrezza il mondo è cambiato. Ma ciò che cosa toglie all’opera immortale di Giovanni Verga?
I pescatori del Verga, come quelli di Vincenzo Licata, sono eterni come il tempo, sono il simbolo di chi lotta per una vita più degna, tra l’indifferenza di chi gode e l’impassibilità della natura. Vincenzo Licata non è poeta monocorde, anche se l’essenza della sua ispirazione è nel mondo marinaro, del quale si è fatto aedo inimitabile.
C’è nella poesia del Licata qualcosa di radicato in un mondo antico, in cui le donne e gli uomini sono rappresentati nella elementarità dei loro sentimenti e delle loro passioni, vivi nella loro umanità, come egli li ha visti e li ama, con una immedesimazione e partecipazione profonda alla loro vita e alle loro sofferenze.
Non può dirsi monotona questa poesia, perché il mondo marinaro che egli canta è visto nella varietà degli atteggiamenti e delle sue vicende quotidiane, che vanno da una notte di tempesta , allo “schiticchiu”, alla festa della Madonna del 2 febbraio, che ha l’ampiezza e il misticismo di una sacra rappresentazione, alla scena d’amore, in cui il linguaggio assume tutte le inflessioni, le sfumature e le peculiarità della parlata sciacchitana. Anche in questo sta l’originalità del Licata, che ha saputo foggiarsi una stile tutto personale, scevro da imitazioni letterarie, cui raramente può sfuggire chi scrive in vernacolo.
A chi legge, ad esempio, “Lu schiticchiu”, balza subito alla memoria il “Ditirammu” del Meli, il “Bacco in Toscana” del Redi, ma ogni accostamento a siffatte composizioni a me sembra arbitrario, perché Licata ritrae una realtà storicamente vissuta che egli abbellisce con tutti gli accorgimenti che la sua arte gli detta.
In “Lu schiticchiu” la poesia di Licata raggiunge vette elevate per la vivacità della narrazione, il realismo, l’umorismo e la scioltezza del verso. Il verso di Licata non è mai stiracchiato, nemmeno quando egli canta di argomenti che esulano dalla sua vera ispirazione.
Nella produzione poetica di Vincenzo Licata, è vero, non tutto resisterà al tempo. C’è d’altronde in ogni poeta una parte caduca, quella parte della poesia cosiddetta occasionale, in cui è estranea l’ispirazione e l’argomento è dettato da motivi contingenti. Ma in Licata essa è assai piccola, perché in quei pescatori, che egli assume a protagonisti del suo canto, c’è, anche quando abbondano il riso e la spensieratezza, l’umana ed l’eterna aspirazione alla felicità, alle gioie più pure della vita. E c’è anche una moralità schietta, anche se le sentenze del poeta, nel contesto della narrazione, possono talvolta ingenerare una certa monotonia. Vero è che la tendenza gnomica del Licata è parte essenziale della sua poesia, perché nell’animo del poeta c’è un alto senso morale, un’istintiva aspirazione alla giustizia, all’onestà, alla rettitudine.
E quando egli mette in bocca ai suoi personaggi le verità di fede, di amore, di giustizia, di onestà, egli ci crede veramente e le proclama, ad alta voce, perché per lui la poesia, oltre che espressione genuina di sentimenti, è anche magistero di educazione e di elevazione civile e politica.

VINCENZO BALDASSANO

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