Il dono celeste

Accade tutto in un attimo: andavo di fretta verso la fermata della metropolitana, pensando ancora all’ultima pratica di lavoro, quando vidi la grossa auto che si avvicinava veloce, poi frenava, sembrava che ce la facesse, mentre io rimanevo bloccato dalla paura, poi alla fine mi colpì.
Ebbi appena il tempo di pensare che ero ancora troppo giovane, nemmeno i cinquanta, poi fu tutto buio.
Dopo un tempo indeterminato, intravedi un barlume di luce che si faceva sempre più vivido e sembrava provenire da lontano: una luce in fondo al tunnel, un fascio stretto su cui camminare.
E andavo leggero verso quella luce che non mi abbagliava, una luce celestiale.
Uscii nel cielo blu, sopra le nuvole bianche, vaporose. E andavo, non volando, ma come attratto, avanti e verso l’alto, sino a intravedere una specie di castello, ocra e beige, un castello senza tempo, dai muri bassi e smerlati.
Al centro una grande porta a due ante. Sopra il castello una luce di un giallo chiarissimo, proveniente dall’interno del castello, come se fosse colmo d’oro.
Ma tra me e la grande porta c’erano due angeli, alti e con le ali aperte.
Mi sbarrarono la strada prima che riuscissi ad avvicinarmi abbastanza da poter vedere bene tutto l’insieme.
Poi, davanti alla porta, si concretizzò una figura, alta e maestosa, con la barba e l’aureola e una lunga veste scusa.
San Pietro. Non poteva essere Dio, perché Lui chiaramente rimaneva all’interno del Paradiso, perché io dovevo essere ancora giudicato, se degno o no di accedere. Non poteva essere San Giuseppe, perché non aveva il bastone con il quale di solito veniva rappresentato, chissà perché.
San Pietro. Io non temevo il suo giudizio, perché ero stato un buon cristiano. Mi presentai al suo cospetto, attendendo che si pronunciasse. Mi guardava severo.
– Quasi mezzo secolo fa hai ricevuto il dono della vita: che cosa ne hai fatto?
La mia sicumera cominciò a traballare: mi attendevo domande sui peccati, gravi e non gravi, confessati o meno, dei quali mi ero pentito o no, dei quali avevo fatto ammenda o no. Invece quella domanda aveva una reminiscenza di prediche sacerdotali, di una parabola che parlava di monete d’oro utilizzate o non utilizzate affatto.
– Sono stato un buon cristiano: andavo sempre a Messa, con tutta la famiglia, offrivo una buona elemosina, pregavo tutti i Santi, locali e forestieri. Qualche volte ho recitato il Santo Rosario insieme a mia moglie e altre persone. Mi confessavo periodicamente e spesso prendevo la Santa Comunione.
– E’ giunta notizia di codesta tua religiosità, e te ne diamo atto, altrimenti non saresti qui, vicino alla Luce. Ma cosa hai fatto della tua vita?
– Sono stato parco e frugale in tutto, nel cibo, nei lussi, nei divertimenti. Mi sono accontentato di una sola donna, che ho sposato in chiesa; abbiamo messo al mondo due figli, cresciuti nel timore di Dio: adesso uno lavora e l’altro studia. Ho rispettato i comandamenti ed evitato i vizi…
La voce si fece più severa:
– Che cosa hai fatto durante la tua vita, come hai usato il tuo tempo? Insomma, quali sono stati i tuoi obiettivi?
– Ho studiato tanto e poi lavorato di più per raggiungere onestamente un po’ di benessere per me e la mia famiglia: credo di esserci riuscito. Li ho portati tutti in vacanza, spesso. Ho letto molto, per conoscere la vita, la storia… e negli ultimi anni ho viaggiato molto con mia moglie, per conoscere il mondo.
– In definitiva ti sei goduto la vita, questo dono prezioso che ti era stato elargito.
C’era stato a volte, nella mia vita, qualche momento in cui mi bloccavo, non sapendo rispondere a una domanda e percependo la prevenzione di chi m’interrogava. Non avevo mai avuto dubbi sul fatto di meritare il mio posticino in Paradiso, magari dopo un breve periodo di penitenza; ma in quel momento non mi sentivo dire alcunché.
Con voce più addolcita San Pietro mi chiese:
– Hai fatto qualcosa contro la guerra?
– Votato per i partiti pacifisti, dicevo che la guerra è sempre ingiusta…
– Hai fatto qualche comizio in merito, hai scritto qualche libro o almeno articolo su giornali o riviste?
– Ho detto qualcosa quando insegnavo e ho pubblicato soltanto un romanzo storico, in cui, in un passaggio, facevo capire la mia contrarietà alla guerra.
Il Santo non sembrava soddisfatto.
– Hai fatto qualcosa per la fame nel mondo?
– Qualche offerta…
– Ammetti di aver raggiunto il benessere: hai mai fatto consistenti donazioni?
Non sapevo che rispondere e tacevo.
– Hai mai pensato di adottare degli orfani? Sappiamo che tua moglie voleva farlo.
– Ho voluto riservare i miei risparmi per i miei figli, ho intestato loro alcune proprietà.
– E ne hanno avuto bisogno?
– Ancora no…
Silenzio astioso.
– Hai fatto volontariato, hai donato il sangue, hai distribuito cibo ai poveri?
Avrei potuto rispondere che facevo spesso l’elemosina, anche due euro, ma mi sentivo troppo mortificato per il fatto che mi venisse rinfacciato che avevo fatto poco, anche se era molto più di quanto non facessero gli altri. E dovevo anche conservare qualcosa per me, perché certamente nessuno mi avrebbe mai dato un pezzo di pane.
Credo che San Pietro mi leggesse nel perché, perché disse:
– Chi ti ha detto che la tua generosità sarebbe stata misurata in base alla generosità media degli altri? Eh? Chi ti ha detto che dovevi preservare la tua vita a tutti i costi, infischiandotene se gli altri morivano per mancanza di cibo? Che cosa ti è stato chiesto in cambio della vita? Sei stato lasciato libero di vivere come volevi, dalla nascita alla morte. Però in quel castello, nei luoghi di un’altra vita, non si entra tanto facilmente.
Mi sembrò di capire, intuire qualcosa, mentre me ne stavo a capo chino, pensando che tutta la mia coscienza era ben poca cosa… una miserrima cosa. E tutto il mio impegno non era servito a nulla… nemmeno a conservare quella moneta d’oro della parabola abbastanza a lungo.
Per la prima volta mi sentii un verme… e piansi.
Piansi senza vergogna, al cospetto di San Pietro, nel silenzio del Cielo, davanti al Paradiso.
San Pietro mi sbarrava la strada, e io non potevo far nulla, né in Cielo né in terra.
A un tratto mi parve che il Santo alzasse il capo, come per ascoltare qualcosa che io non potevo udire. Poi sorrise e tornò a guardarmi:
– Avrai una seconda possibilità…
E si dissolse.

***

Ero andata all’ospedale ogni giorno, per una settimana, ad attendere che mio marito si svegliasse.
Dopo i primi giorni mi avevano consigliato di limitarmi a brevi visite e di guardare la mia salute e le faccende di famiglia, considerando anche la possibilità che rimanessi sola a dover badare a tutto.
Rimanendo di più a casa, avevo ricevuto una telefonata di scuse dall’investitore, il quale aveva però precisato che mio marito aveva attraversato la strada di fretta e distratto, fuori dalle strisce pedonali. Tuttavia si era dichiarato disponibile ad aiutarci e aveva promesso di far visita a Marco appena fosse uscito dal coma.
Quella domenica mattina mi telefonarono dall’ospedale: si era svegliato! Commossa, dissi che sarei arrivata subito.
– Faccia con comodo, signora, perché adesso sta facendo tutti i necessari accertamenti. Terminerà per l’ora di pranzo.
Quando entrai nella stanza, mi aspettava in piedi: ci abbracciammo commossi.
– Temevo che mi volessi lasciare sola!
– Dovrai sopportarmi ancora un po’…
Il medico di turno mi assicurò che non c’erano postumi rilevati del trauma:
-Dovrà soltanto riposare per due o tre settimane, prima di tornare a lavoro.
Mentre andavo via, la suora del reparto mi fece i complimenti e gli auguri, poi mi condusse nel reparto pediatrico e m’indicò un bimbo di circa otto anni:
– Per il momento dorme, ma anche lui si è svegliato da un coma dovuto a una brutta caduta. Tra l’altro è anche orfano.
– Gli darò un po’ di compagnia io, se si sveglia. – e mi sedetti accanto al letto, prendendogli una manina tra le mie.
– Ha un fratello gemello e stiamo cercando una famiglia per l’affidamento temporaneo, visto che per l’adozione non sono richiesti.
– Come mai?
– Le coppie desiderano bambini piccoli, e uno solo; inoltre la pratica per l’adozione è lunga e complessa.
– Lo so, anch’io avrei voluto adottare un orfano, anni fa, per fare del bene, ma mio marito non ha voluto.
– Economicamente state bene, signora?
– Discretamente.
– Prendete in affidamento questi due gemelli. Non è per sempre, ma la loro riconoscenza lo può essere. E quella di Dio…
– Sa, sorella, mio marito avrebbe preferito al limite altri figli, ma non estranei da allevare.
Suor celestina sorrise con gli occhi che brillavano:
– Suo marito ha già firmato i documenti, signora…

di Michele Fiorenza
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Il racconto “Il dono celeste” si è classificato tra i finalisti della sezione dei racconti del Premio Nazionale di Letteratura e Poesia “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”, Edizione 2009.

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