Il rosario dei seni

Viviana era stata uno dei miei amori più grandi, un affetto arrivato in mezzo alla vita migliore, quella dei trent’anni, dove il bene delicato del cuore veniva irrobustito, quando si scaldava, dagli slanci furibondi della passione.
Un giorno m’aveva chiamato ancora.
«Sei tu?… Sei proprio tu?… Come stai?».
L’avevo riconosciuta subito.
«Viviana… Non ci posso credere… Dopo quasi vent’anni…».
Sgrossata da certi ricordi meno entusiasmanti la storia con lei era quella che ricordavo con maggiore rimpianto.
«Che fai di bello?» le chiesi banalmente.
«Nulla… sono in pensione…».
«Così giovane?».
«Giovane non sono più… Ormai sono nonna…».
«Le nonne abbacinanti come te, e con la tua sensualità, sono una sorta di lecita, naturale, normale perversione del tempo…».
«Ma che dici!», fece un po’ compiaciuta ma per niente convinta, «Gli anni ci sono passati addosso… eccome… e hanno portato pure qualche problema…».
«Ah!».
«Ho difficoltà a muovere un braccio per esempio… Ma dimmi di te»..
«Cosa vuoi, sono a un punto di mezzo. La carriera più in là non può andare, ma continuo a lavorare. La vita, te ne accorgi da qualcosa, comincia lentamente a riposarsi, e questo non sono pronto ad accettarlo. Mio figlio, poi, non riesce a trovare un impiego… E tu?… Avrai sicuramente dei figli…».
«Ne ho due… due maschi… Il più grande si è sistemato… ma sta lontano…».
La pausa s’allungò e piombò il silenzio che già vagava nell’aria. Fui ancora io a continuare.
«Sono felice che tu m’abbia chiamato… Ma se l’hai fatto dopo tanto tempo un motivo deve esserci… E poi la tua voce non è tranquilla…».
Un respiro a bocca chiusa, rumoroso, dubitante, fu tutto quello che la donna riuscì a infilare nel telefono. Ma bastava aspettare, perché una cosa avrebbe dovuto comunque dirla.
«È da qualche tempo che non ho più voglia di ridere…» fece dopo un po’.
Il suo riso…
Correva su per aria coi pensieri più divertenti, e scendeva in un suono di velluto quando tornava attento e disponibile. Ora questo sembrava non succedere più.
«M’è capitato un fastidio…» prese a spiegare. «M’hanno portato via qualche muscolo del torace… E pure il seno sinistro…».
La telefonata dopo tanto tempo… La rivelazione del suo cruccio…
Per sdrammatizzare il tutto ne tirai fuori una delle mie, che le desse animo e non intristisse pure me.
«Di che ti preoccupi?», le chiesi, «Seno o non seno per me non cambia nulla… Di voi, come sai, mi piace di più tutto il resto…».
«Sei sempre il solito, non cambi mai…».
«Cambiare non posso…Deve essere vero quello che dice mia sorella… che il seno non lo voglio più perché sono stato accanto troppo a quello di mia madre avendo preso il latte fino a tre anni…
«Perciò», l’incoraggiai, «ce l’abbiate o no è cosa che non m’interessa… E quindi per me sei quella di sempre».
Viviana tacque per qualche istante, la voce diventò meno preoccupata.
«Quando ci capita questo non siamo più le stesse… Non ci sentiamo più mogli, compagne, madri…donne insomma!».
«Io non vi ho mai visto come tu dici… Te, per esempio, non capisco perché la madre non puoi più farla… Come uomo ti dico che sei quella che eri, e sicuramente bella come sei sempre stata».
«Forse è per questo che ti ho chiamato… Mi faceva piacere sentirti… sentire te, proprio in questo momento».
«Cara Viviana, tu credi che non ce ne siano altri che la pensano come me?… Prima o poi spunteranno fuori… e tu e le altre come te non vi sentirete più così in difficoltà…».
«Ma poi è davvero di uomini particolari che abbiamo bisogno?… Tu non pensi che è proprio questo quello che ci emargina di più?».
Si commosse.
«Se tu vuoi fantasticare voglio farlo anch’io… I signori di cui parli», ora la voce era ironica, «chi ce li dovrebbe trovare?… E se proprio volessimo… ma solo se volessimo… come riusciremmo a frequentarli? L’accetterebbero questo rosario… il rosario doloroso dei nostri seni?».
Aprì quindi il riserbo e confessò.
«A pensarci un po’ su quest’idea delle cose positive le ha… Volevi che ti dicessi questo?… Sì… le ha… ma non può uscire dalla testa che l’ha pensata…».
Dalla mia, invece, usciva sempre più tenace.
E questi uomini speciali, riflettevo, se qualcuno li avesse voluti cercare, chi avrebbe dovuto individuarli? Un grande sentimentale? Un soccorritore della debolezza? O soltanto un animo spontaneo? Lì però c’ero solo io a poterlo fare… Ma a fare che cosa?… Formare un gruppo, certo sufficientemente scanzonato, che avesse voluto incontrare quelle donne nella loro situazione particolare? Le circostanze inusuali mi avevano sempre stimolato. Ci trovavo dentro l’occasione per sprigionare la mia inventiva e prendermi magari un applauso.
Però, pensavo, chi bisognava reclutare? Individui liberi o anche sposati? Il proselitismo era diretto verso tutti, tutti quelli che avrebbero sentito il dovere o la necessità, e certuni anche la curiosità (che andava bene lo stesso) di una simile esperienza.
Ormai i pensieri mi venivano senza controllo. E riflettevo: da chi quei nuovi partners avrebbero potuto ricevere critiche? Gli uomini non erano dei gigolò. Le donne erano state messe, o si sentivano, ai margini dell’amore. Ogni sollievo di quell’angustia sarebbe stato, se non proprio apertamente accettato, almeno silenziosamente compreso. Lo scopo terapeutico di tali contatti avrebbe convinto le coscienze di tutti, e frantumato ogni senso di colpa e di peccato.
La domanda… la mia prima domanda quale sarebbe stata? Forse «Tu delle tette cosa pensi?». Più esplicito di così!
L’avrei dovuto chiedere ai miei amici o conoscenti più sensibili. E come mi avrebbero guardato, e soprattutto risposto? A pensarci bene ci sarebbe stato chi avrebbe mostrato un grandissimo appetito. E chi invece avrebbe manifestato il suo entusiasmo più tranquillamente. Poi ancora chi avrebbe mostrato solo una piccola compiacenza.
Ma se qualcuno… ma se qualcuno mi avesse detto di preferire altro, le gambe per esempio, il volto, o addirittura l’ingegno, sarebbe stato lui quello giusto, e gli avrei girato intorno contento spiegandogli che il nostro sarebbe stato un volontariato utile e laico, un impegno magari originale, ma una cosa che era doveroso fare.
Poi, poi, avrebbe inevitabilmente aleggiato anche un pizzico di maschilismo fra quegli uomini chiamati a sollevare dalla tristezza il sesso gentile. Benefattori agognati, protagonisti meritori selezionati come quelli invitati a donare spontaneamente il seme e i suoi geni preziosi.
Cosa ci sarebbe stato di diverso? Sempre la donna sarebbe stata la destinataria della loro azione. Allora era anche sull’orgoglio delle loro mascoline qualità che avrebbe potuto fare breccia, in quei predestinati, l’invito a rendersi disponibili. E il popolo femminile non avrebbe smesso di ringraziare e adorare (anche in tale occasione) quei potenti e insostituibili maschi, differenti dai mariti dai quali non avevano più avuto il coraggio di farsi vedere, come pure, se rimaste sole, da qualunque altro signore.
Ma chi avrebbe preso il coraggio di scambiarsi l’amore?
A me e a Viviana, gli amici più vecchi, gli ideatori di un simile club, toccava certamente la prima mossa.
Dovevo darmi dunque a un misericordioso amplesso?
La mamma mi aveva svezzato con tutti e due i seni e col più grande degli affetti. La mente e il carattere m’erano venuti su bene, ma il mondo m’aveva abituato ad altro, ad ogni tragedia e malanno, e quindi anche a quei fisici diventati imperfetti. Dentro cui però c’era ancora una donna, e quella ch’era stata la mia m’era sempre piaciuta tantissimo.
C’incontrammo al suono d’un CD pieno di canzoni e tenerezza. Riusciva tutto questo a creare un filtro alla sminuita apparenza della mia amica? Cosa sarebbe successo? Lei non lo sapeva e tremava per l’incertezza.
Scavalcai quell’attimo terribile e le toccai, dov’era diverso, il petto. Lei lacrimò a dirotto e mi guardò. Si chiedeva certamente cos’era rimasto di quello che ricordavo, e quale amore sarebbe potuto ritornare come allora. E poi l’età, il rapporto fra noi ormai lontano, la menomazione. Erano forse questi i pensieri che le bagnavano gli occhi, ma spazzai via ogni angoscia donandole carezze e parole dolcissime. La musica allora si fece più forte e affezionata. Tutti e due ci sganciammo dalla realtà e c’inventammo ogni cosa, rotolando la nostra fantasia dove l’altro, per caso, la spingeva.
Viviana si sentì come liberata. Emise un grido di rivalsa contro quel male e la vita, che sciolse poi in qualche sospiro d’affetto.
Svoltasi la curva dell’amplesso ci guardammo in faccia lieti e stanchi mentre i nostri corpi non smettevano di toccarsi. Non c’era ritegno, ribrezzo o pudore, che fosse riuscito a staccarci, e l’uno accanto all’altra, incollati senza imbarazzo, c’immergemmo in un riposo ai confini del sonno.
di Riccardo Ascoli
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L’opera “Il rosario dei seni” si è classificata come finalista nella Sezione Racconti del Premio Nazionale di Letteratura e Poesia “Vincenzo Licata – Città di Sciacca” – Edizione 2010.

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