L’ULTIMO “TI VOGLIO BENE”


Era il 12 giugno 2008 quando ad Elaisa venne data la notizia più terribile di tutte, quella che non avrebbe mai voluto sentire, quella a cui non aveva mai pensato, sarebbe scappata via pur di non sentirla. Lei era molto legata a sua nonna, sua nonna, da qualche giorno in un letto d’ospedale. Vedeva sua madre piangere di nascosto: aveva intuito che qualcosa non andava, ma sperava di non udire mai quelle parole. Invece, sua madre quel giorno era lì, davanti a lei, c’era anche la sorella della ragazza e il tono era quello serio, il tono che la madre usava quando aveva qualcosa di importante da dire. Sua nonna morirà, morirà. Non ci poteva credere. Poi il “si” della conferma. Si sentì il cuore batterle forte, le lacrime scenderle sulla guancia. Quella nonna così sorridente e allegra, la “sua” nonna stava per andarsene. “No, non ora!” pensò Elaisa. Avevano ancora tante cose da fare insieme. Si avvicinò a sua nonna, la guardò in faccia e la nonna le sorrise. E in quel sorriso, Elaisa notò che niente era cambiato: aveva il sorriso di sempre, quello di gioia, quello che diceva “non è niente, sto bene”, e fu allora che ad Elaisa vennero in mente i ricordi più belli passati insieme alla nonna adorata: quando andavano a fare la spesa faceva sentire bella Elaisa come una principessa comprandole tutto ciò che voleva, dai cioccolatini e le caramelle ai giochi, e dai giochi ai vestiti; oppure quando d’estate mettevano la piscina nel giardino e d’inverno montavano le tende da campeggio per gioco. Adesso tutto stava finendo, tutto stava scomparendo, come sua nonna.
Elaisa decise di dire addio alla nonna a lei cara come nessuno aveva fatto prima d’ora con altre persone. Si recò dal dottore e gli chiese: “Mi scusi, sono la nipote della signora della stanza 26, volevo chiederle se mi potrebbe dire quanto tempo rimane alla paziente.”
“Probabilmente due mesi, se non di meno. Ѐ grave.”
“Va bene, grazie. Buongiorno.”
Perfetto, aveva il tempo necessario per organizzare le cose. Uscì dall’ospedale e corse senza fermarsi al vivaio dove andava sempre con sua nonna. Entrò. C’erano un sacco di piante e fiori. Le esaminò uno ad uno, ma non c’era nessun fiore che l’attirava. Così, entrò nell’altra sala, ma non c’erano fiori, bensì bustine di semi di fiori, quelli da piantare manualmente e da curare giorno per giorno. Ecco l’aveva trovata. Prese una bustina di semi di Petunie Fortunia Lilla. Poi prese un bel vaso. Era marrone con raffigurato la lavanda. In realtà c’erano molti vasi e ognuno aveva disegnato un fiore diverso, ma lei scelse la lavanda perché significa “il tuo ricordo è la mia unica felicità”. Dopo di ciò, andò a comprare un libro su come coltivare una pianta. Tornò a casa e iniziò a leggere il primo capitolo “Come coltivo una pianta?” E lesse: vangare una buca di circa 60 cm, riempirla con terra composta da una buona manciata di concime più una coppa di farina d’osso. Dai alla pianta il fertilizzante come scritto sulla sua confezione e annaffiare in abbondanza il primo mese così che le radici non saranno mai secche. Prese la bici e andò a comprare il fertilizzante, il concime e una coppa di farina d’osso. Dopo aver fatto questo, tornò a casa, fece quello che stava scritto delle piante e lesse anche che la farina d’osso è una farina ottenuta dalle ossa di animali finemente tritate e viene utilizzato come fertilizzante per ammendare il terreno di calcio, di cui le ossa sono particolarmente ricche.
Allora capì che aveva preso tutto e non doveva sbagliare, non questa volta. Passò un mese e non c’era un solo momento in cui Elaisa non pensava a sua nonna e alle sue piantine. Mentre le Petunie crescevano rigogliose, la nonna era sempre più pallida e la sua situazione stava peggiorando sempre più. Dopo pranzo, Elaisa andò all’ospedale a trovare sua nonna e la vide sdraiata, sciupata, con gli occhi chiusi. Le avevano attaccato l’ossigeno perché faticava a respirare e non solo l’ossigeno, ma anche l’alimentazione forzata. E affianco al letto c’era la carrozzina perché sua nonna non riusciva più a muoversi. Elaisa stava per mettersi a piangere poiché non riusciva a guardare mentre sua nonna soffriva in quel modo. Non meritava un simile dolore. Fu in quel momento che Elaisa capì che le sue Petunie Lilla erano diventate abbastanza belle per consegnarle alla nonna. Tornò a casa, trapiantò le Petunie nel vaso che aveva comprato e tornò all’ospedale. Camera numero 26, doveva entrare in quella stanza e dare a sua nonna quelle Petunie coltivate con tanto amore. Non riusciva ad aprire la porta al pensiero che sua nonna da un momento all’altro poteva morire. Le scese una lacrima ma non poteva piangere, non nel momento in cui avrebbe dato le sue piante alla nonna. Si asciugò la lacrima ed entrò. La nonna non aprì nemmeno gli occhi. C’era silenzio, troppo silenzio. Iniziò a parlare: “Ciao nonna, ho coltivato per te queste Petunie Lilla. Ti ricordi le tue Petunie nel tuo giardino? Le tue preferite? Vedi, io adesso ne ho piantate delle altre così che tu possa avere delle Petunie vicino a te anche qui.”- chissà se la nonna la stava ascoltando, chissà se capiva quel che stava dicendo – “Vedi sul vaso? C’è disegnato un fiore, sai che fiore è? Guarda, per favore apri gli occhi e guarda cosa ho fatto per te”- ma sua nonna non aprì gli occhi, sembrava che dormisse – “C’è disegnata la lavanda, ti ricordi il suo significato? Il tuo ricordo è la mia unica felicità, questo è il suo significato.” – Sua nonna non disse una parola, ma Elaisa non si perse d’animo perché sapeva che sua nonna aveva un tumore al cervello e non riusciva né a parlare né a muoversi. – “Sono andata al vivaio dove andavamo sempre a comprare i fiori. Ti ricordi qual’è?”- qualcosa all’improvviso aveva spento le speranze di Elaisa a far parlare sua nonna. Erano settimane che ormai sua nonna non parlava, e a quel punto Elaisa scoppiò a piangere. Non avrebbe mai più sentito le sue parole, probabilmente nemmeno un suo “ciao” per darsi un filo di speranza. Non poteva vedere sua nonna così. Sapeva quanto lei stava soffrendo, non c’erano parole per descrivere il suo dolore. Ma guardò bene il viso di sua nonna e notò una lacrima che scendeva sulla sua guancia. Sua nonna avrebbe voluto aprire gli occhi e dirle “ciao” ma non ci riusciva, anche se probabilmente ce la stava mettendo tutta. “Oh nonna!”- urlò Elaisa e le diede un bacio, un bacio sulla guancia destra e le accarezzò il viso come quando anni fa, sua nonna accarezzava Elaisa. La strinse forte a se. Lasciò le Petunie sul comodino della nonna e uscì dicendole “ciao”, solo un misero “ciao”, neanche lei riusciva più a parlare dopo quel che aveva visto.
Stava varcando l’uscita dell’ospedale quando corse indietro fino alla camera 26 per dirle “ti voglio bene, nonna”, ma quando entrò nella stanza vide che era tardi, troppo tardi. Non respirava più. Sua nonna era andata in cielo prima che lei potesse dirle il suo ultimo “ti voglio bene”.
Corsero i medici in camera, ed Elaisa guardò le piantine sul comodino. Fu soddisfatta del suo lavoro, c’erano quella Petunie che le avrebbero unite per sempre.

di Veronica Rossi
__

“L’ULTIMO “TI VOGLIO BENE”” ha partecipato all’edizione 2011 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”.

 

spacer

Leave a reply