PERCHE’ SAN CALOGERO E’ NERO


San Calogero di Agrigento - Foto prelevata dal sito danonnarosa.com

San Calogero di Agrigento - Foto prelevata dal sito danonnarosa.com


San Calogero è un santo agrigentino. D’adozione, almeno. Infatti, di molte città della provincia è il patrono, in molte altre gode di devozione e rispetto: Sciacca, Naro, Raffadali, Canicattì, ecc.

Le sue origini affondano più nella tradizione che nella storia.

Infatti, non si può affermare con qualche certezza che i Calogeri della provincia in realtà siano diversi o uno soltanto. Se fu solo uno, poiché molto venerato sarebbe stato fatto proprio da diversi comuni, anche fuori provincia. Può essere pure che si sia trattato di diversi eremiti i quali, poiché provenienti dall’oriente, furono chiamati Calogero da una cultura popolar – ellenizzante, allora dominante.

Per lo stesso motivo, cioè per la sua provenienza, i vari artisti che lo hanno rappresentato, in immagini e sculture, lo hanno raffigurato, fatte salve rare eccezioni, di colore nero.

Colore che ha dato filo da torcere a molti studiosi del costume, che però non hanno conseguito risultati apprezzabili lasciando irrisolta la questione.

Tant’ è che anche la fantasia popolare ha tentato di darsi delle risposte sull’argomento, elaborando storielle e racconti semplici e, talora, anche divertenti, come quello che qui si racconta.

Certo devozionismo popolare vuole che molti santi di un determinato territorio sia stati fratelli. San Calogero di fratelli ne avrebbe avuti cinque o sei. I santi protettori di Canicattì, Licata, Sciacca ed altri. Santi che a loro insaputa e, probabilmente, contro la loro volontà venivano coinvolti nelle dispute campanilistiche un tempo molto accese fra i comuni di uno stesso circondario, specie per quanto riguarda il numero di miracoli attribuito a ciascun santo e la loro volontà di farne: “San Caloriu di Giurgenti, mmiraculi ‘un nni fa nenti; san Caloriu di Caniattì, mmiraculi nni fa tri; san Caloriu di Sciacca mmiraculi nni fa na cascia”, e cosi via

Il racconto, quindi, non ha nulla di religioso, ma vuole solo dare una motivazione agli sfotto fra gli abitanti dei vari paesi dell’agrigentino, oltre che essere una fantastica trovata per il colore nero di san Calogero.

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San Calogero in vita, cioè prima di diventare “ufficialmente” santo, era una brava persona, buono d’animo e di carattere, dedito al bene, non per niente è diventato, appunto, santo, protettore di molte città. Tutto ciò non gli impediva però di essere, in talune circostanze e per taluni motivi, piuttosto birbantello.

Era fratello di sant’Angelo, protettore di una città vicina.

I due erano dediti al lavoro dei campi e conducevano direttamente le loro terre.

All’inizio della stagione agricola, cioè al tempo dell’aratura dei campi, sant’Angelo si rivolse a san Calogero.

– Calò, che facciamo?

– Angelino, sai che ti dico, ancora il tempo è bello e mite; fai tu l’aratura, che poi alla semina, quando il tempo diventa impietoso con piogge, vento e freddo, provvederò io.

Ed Angelo provvide all’aratura del campi.

Al momento della semina, sant’Angelo si rivolse al san Calogero:

  • Calò, siamo alla semina, che facciamo?

-Angelino, sai che ti dico, tutto sommato il tempo non è ancora tanto brutto. Fai tu la semina, che poi, quando sarà il momento di zappare, con freddo e vento di tramontana e gelo che spacca le mani, ci penserò io.

Arriva il tempo di zappare e sant’Angelo si rivolge a san Calogero:

  • Calò, è tempo della zappatura, che facciamo?

– Angelino, sai che ti dico,…..

Sant’Angelo capì il ritornello e non lo lasciò finire.

– Però alla seconda zappatura niente storie, te la vedi tu e basta.

Al tempo della seconda zappatura san Calogero non aspettò di essere interpellato. Prese l’iniziativa e disse:

– Angelino, so che dovrei andare io per la seconda zappatura, conosco il mio dovere, ma lo faccio per te. Il tempo ormai si mette al bello; non fa né caldo e né freddo. Nel mese di giugno invece, per la mietitura, il caldo spacca le pietre, ciò non di meno, ti garantisco che provvederò da solo alla mietitura.

E così sant’Angelo si fece anche la seconda zappatura.

Giunse in tempo della mietitura e con esso il caldo del mese di giugno. san Calogero sembrava essersi dimenticato dei suoi buoni propositi e di essere in tutt’altre faccende affaccendato, per cui sant’Angelo piuttosto seccato anziché no, gli si rivolse ancora una volta:

  • Calò, il grano lo vogliamo lasciare all’impiedi ? E non mi venire a raccontare la storiella del brutto tempo che ormai è estate sia di giorno che di notte.

  • Angelino, ragione hai, però durante la trebbiatura, quando le ariste ti entrano nella carne e la polvere di paglia non ti fa respirare, non ti venire a lamentare. Io per te lo dico, ti consiglio di provvedere tu alla mietitura, che per la trebbiatura e tuttociò che comporta provvederò io fino all’ultima incombenza.

Angelino, poco convinto ma animato dalla bontà, non per nulla era santo anche lui, anche se non ancora “ufficialmente”, si fece la sua bella mietitura.

Finalmente arrivò il tempo della trebbiatura.

Stavolta fu san Calogero ad interpellare il fratello:

-Angelino, sai che ti dico…

Questa volta sant’Angelo non lo lasciò finire.

-E no, caro Calogero, la trebbiatura te la fai tu, e non voglio sapere più nulla.

-Ma io stavo parlando nel tuo interesse. Potresti pensare che io possa approfittare e lasciarti una quota inferiore di quella che ti spetta.

Il discorso fu convincente o davvero sant’Angelo pensò che la larvata minaccia di qualche piccola sottrazione potesse realizzarsi, sta di fatto che tutte e due i fratelli provvidero insieme ai lavori di trebbiatura.

Al termine dei lavori, quando la paglia era tutt’intorno all’aia come una gigantesca mezzaluna d’argento ed il grano ammucchiato al centro pronto per la divisione che era una gioia solo a vederlo, con pala a tridente nel bel mezzo della collinetta di chicchi dorati, san Calogero così parlò:

-Angelino ora dobbiamo dividere. Visto che tu hai fatto tanto lavoro, hai arato, hai seminato, hai zappato e mietuto tutto da solo, ti do il vantaggio della scelta. O tu ti pigli la paglia ed io il grano oppure, se non ti sta bene così, il grano me lo piglio io e tu ti pigli la paglia. A te la scelta.

Non si è mai saputo se quella di san Calogero voleva essere una battuta di spirito. Sant’Angelo, considerati i precedenti, ci pensò un po’ su ma non con la necessaria serenità d’animo e di mente ed alla fine rifletté che, comunque avesse scelto, sempre la paglia gli sarebbe toccata. Stavolta proprio non ce la fece a mandarla giù sentendosi preso per i fondelli. Era santo è vero, ma a volte anche i santi non ce la fanno più e perdono la pazienza. Preso da rabbia incontrollabile diede fuoco alla paglia con l’intento di bruciare tutto: né tu né io, né tu né io,muore Sansone con tutti i Filistei.

San Calogero che per quanto birbantello era pur sempre un santo anche lui, non poteva permettere che il fuoco divorasse un anno di fatiche e di lavoro che erano più di suo fratello che sue, o forse proprio per questo, si gettò in mezzo al fumo ed alle fiamme riuscendo a domare l’incendio.

Il gesto di generosità ebbe però nefaste conseguenze. Il caldo ed il fumo furono tanto grandi, asfissianti e penetranti che san Calogero, sebbene si fosse lavato ben bene con sabbia ed acqua di fiume, rimase nero vita natural durante. Ed anche dopo.

Ecco il motivo per cui san Calogero è nero.

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di Benedetto Arancio
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“PERCHE’ SAN CALOGERO E’ NERO” ha partecipato all’edizione 2011 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”.

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