I tre piccoli soli

L’aria era fredda, come solo quella di certe sere di gennaio sa essere. Crepuscoli durante i quali il cielo appare nero, oscuro abisso che circonda ogni cosa e dal quale sembra quasi poter essere risucchiati all’improvviso. Vespri che non conoscono né movimenti di foglie né rumori, tutto è fermo, forse in attesa che qualcuno o qualcosa squarci come una saetta un cielo che pare essere di carta. Immobili gli alberi e ammutoliti tutti quegli animali notturni che al calar del sole iniziano a vivere la loro vita nelle tenebre, un’esistenza difficile nelle pieghe del rincorrersi tra preda e predatore. Anche la luna, con la sua tenue ma rassicurante luce, quella sera era assente. Poi, all’improvviso il freddo divenne gelo. Non era la normale temperatura che in quella zona cala la sera. Era qualcosa di diverso e di molto più intenso. Non c’era vento, ma la pelle reagiva lo stesso come se ci fosse, tanto l’aria era diventata intensa, quasi palpabile. Sembrava d’essere stati catapultati in uno di quei luoghi dove la neve è l’unica compagnia che ha lo zero dei centigradi. Era una sera decisamente strana, diversa dalle altre. Misteriosa e sfuggente, prometteva l’assurdo. Ed infatti qualcosa di assurdo e inspiegabile avvenne.

Stava riordinando gli attrezzi usati durante quella lunga e faticosa giornata di lavoro. Per lui niente di eccezionale, ma era stato duro sfidare la sferzante tramontana dei campi: non si era infatti mai abituato a quei freddi strumenti che gli rendevano le mani insensibili e, a tratti, incontrollabili. Era stata comunque una giornata difficile, come tutte quelle che gennaio sa regalare a chi ancora si ostina a voler ricavare qualcosa dalla terra e a curarla con quell’amore contadino e antico, ancestrale, ormai scomparso. Nella grande stanza al piano terra di casa sua, col portone spalancato sull’oscurità della campagna che da sempre la circondava, stava terminando le ultime pulizie quando, all’improvviso, avvertì una strana sensazione, ma non capì esattamente di cosa si trattasse. Gli sembrò d’aver dimenticato qualcosa, di non aver fatto tutto quello che avrebbe dovuto fare prima di risalire la scala interna, ancora da rifinire, che ogni sera lo riportava nel calore domestico e nella meritata tranquillità del corpo. Uscì attraverso l’ampio portone di metallo e ricontrollò se mancasse qualcosa tra gli oggetti che da anni lo accompagnavano ogni giorno nel suo solito lavoro. Tutto era al suo posto, non mancava niente. Ma fu un attimo. Vide un bagliore, apparsogli da dietro la collina che ripara casa sua dal freddo vento che da sempre spazza quell’area in inverno. All’inizio pensò ai fari di una macchina in avvicinamento. A quell’ora gli parve sì strano ma possibile, quindi non si preoccupò più di tanto. Aveva ben altro cui pensare, preparare tutto l’occorrente per l’indomani, giornata che si preannunciava ancor più intensa e dura di quella che s’apprestava a finire. Aveva fame, il suo corpo reclamava cura e attenzione, dopo le numerose ore d’abbandono. Pensò alla moglie indaffarata in cucina e non vide l’ora di finire e risalire. Ma rifletté che la macchina che avrebbe dovuto passare proprio davanti casa sua non era ancora apparsa, nessun rumore. Un silenzio irreale. Sembrava che la natura ad un tratto fosse sparita. All’improvviso vide a mezz’aria una prima sfera luminosa. Subito dopo individuò un secondo bagliore, stavolta apparso da una nuova direzione e non da dietro la collina. Era un’altra luce, diversa da quella comparsa pochi secondi prima. Le vide davanti ai suoi esterrefatti occhi, in lontananza, sospese in aria ad un’altezza che non poté definire, era troppo lontano per poterlo stabilire. Gli passò la fame. Anzi, gli si chiuse lo stomaco tanto da fargli male, come se avessero usato una tenaglia. Era un brav’uomo, di poche parole, tutto d’un pezzo e abituato a trattare e considerare le cose per quello che gli apparivano, reali e tangibili. Ragionava e rifletteva senza troppe filosofie, solo fatti e cose concrete, poche chiacchiere. Ma ciò che quella sera vide lo turbò, lo sconvolse per la sua irrealtà. Non se le spiegava quelle strane luci, tonde, all’inizio piccole e lente, poi sempre più grandi e veloci nei movimenti. E sempre più vicine. La sequenza degli eventi di quella sera sembrava scritta da uno scrittore di fantascienza, tanto tutto gli sembrò calcolato e meditato. Prima una, poi due sfere che si rincorrevano, sempre ad un’altezza non definibile. Erano luminose ed al buio di quella sera sembravano piccoli soli che andavano in ogni direzione. Silenziosi e fulminei. Ma ecco apparirne un’altra. Divennero tre. Tutto questo nel giro di pochi interminabili secondi. A quel punto gli occhi gli si cementificarono aperti e spalancati su quell’inspiegabile spettacolo e si riscoprì tremante. In un breve attimo di lucidità capì d’avere i vestiti fradici di sudore, gelidi e sempre più rigidi per il freddo. Gli parve quasi che stessero congelando. Si sentiva confuso, atterrito e con entrambe le tempie che gli battevano ad un ritmo che solo il suo cuore in quel momento riusciva a tenere. Anzi, gli parve che nel petto qualcosa gli stesse scoppiando, incontrollabile. Ed infine capì. Era paura, terrore probabilmente allo stato puro. Una sensazione che fino ad allora e in tutta la sua vita non aveva mai provato. Quasi non si riconosceva più. Non pensava che la vita avrebbe potuto riservargli di vivere sensazioni di una tale intensità. Era ormai immobile da diversi minuti, con lo sguardo in quella direzione, la stessa dei tre piccoli soli che sembrava stessero giocando con le sue certezze e con le sue sicurezze, con la sua stessa vita. Tutt’intorno a lui il nulla. Le luci si stavano avvicinando sempre di più e sempre più basse. Non si mosse, sembrava inchiodato su quell’uscio di casa. Notò che non riusciva a muoversi, non coordinava i movimenti, come gli era successo quella stessa mattina con gli attrezzi da lavoro. Ma stavolta il freddo non c’entrava nulla. Rimase in quella posizione per altri lunghissimi minuti, a seguire quei tre punti luminosi e silenziosi che giravano nell’aria immobile di quella sera, appena sopra una zona dove una depressione naturale si era inventata una piccola pianura che rendeva fresche le sere estive ma poco sopportabili tutte le altre. Ad un tratto le luci furono vicine alla sua casa. Poté osservarle da vicino ma non riuscì a focalizzare nient’altro che un intenso bagliore, straordinariamente silenzioso benché fosse reale ed accecante. I minuti scanditi dalla visione di quei lucenti vortici aerei gli parvero anni, tanto il tempo si era dilatato in una dimensione che gli sembrava essere da sogno, o da incubo. Ma all’improvviso, la tre luci, così come erano apparse, iniziarono ad alzarsi sempre più in alto e sempre più vorticosamente, fino ad allontanarsi ed a sparire da dietro quella stessa collina dalla quale pochi minuti prima tutto aveva avuto inizio.

Subito dopo, a mente più serena, pensò che il primo bagliore che aveva visto non era stato quello dei fari di una macchina. Da lì, quella sera, non passò nessuna macchina. Continuava a non sentire alcun rumore, niente vento o animali che avvertivano la notte della loro presenza. Gli parve che in quei brevi attimi, oltre a lui, le tre piccole e veloci sfere di luce fossero le uniche forme di vita presenti in quel luogo, divenutogli assolutamente nuovo. Avvertì la sensazione d’essersi ritrovato straniero in quello stesso posto che invece da sempre lo aveva visto vivere. Si sentì smarrito, sempre più confuso. Con strani capogiri, vertigini che lui con aveva mai conosciuto. Cos’era successo in quei pochi minuti che a lui però sembrarono una vita intera? Chi o cosa gli si era parato di fronte in quella strana oscurità? Finalmente ebbe la forza di riprendere il controllo delle sue gambe e fece rientro in casa. Camminava lentamente, riacquistò sensibilità e tirò dritto per la scala non ancora finita. Salì ed entrò nell’appartamento, dove il caldo dell’ambiente sciolse a poco a poco il gelo dei suoi pensieri ma non quello impresso sul suo viso. Era pallidissimo, tanto da preoccupare la moglie e i figli ai quali, con le poche parole di sempre, disse solamente che non si spiegava cos’era successo lì fuori poco prima. Ma sapeva che così non era e non ne volle parlare mai più con nessuno. E nessuno ha mai provato a chiedergli qualcosa.

E l’indomani, forse, gli capitò di sentire alcune voci che giravano in paese, sull’avvistamento di strane luci che la sera precedente, alle pendici della montagna dalla doppia gobba, erano apparse ad alcuni suoi increduli e spaventati compaesani. Ma a lui nessuno chiese niente, forse perché nessuno seppe mai niente. Le tre luci, i tre piccoli soli, da allora non si fecero più rivedere, o almeno così sembra, poiché nessuno ha mai raccontato niente e nessuno ha mai cercato niente.

.

di Antonio Fragapane

__

“I tre piccoli soli” ha partecipato all’edizione 2011 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”.

spacer

Leave a reply