LO SPECCHIO DELL’ANIMA

Selenia era nata male e cresciuta peggio. Neppure il ricorso a noti endocrinologi e dietologi le era stato d’aiuto. Alta circa un metro e mezzo, pesava circa 70 Kg. Si muoveva come una papera: ginocchia strette, gambe larghe e punte dei piedi in fuori.

Un giorno si guardò allo specchio che la rifletteva fin sotto le ginocchia. -Sono davvero brutta – fu il suo commento -. Una vera principessa del pisello. Ed un accenno di amaro sorriso increspò le sue labbra.

Era brutta, Selenia. In compenso era intelligente, socievole e generosa. Come si poteva non scherzare su di lei, goffa com’era nell’aspetto? Era colpa sua se tutto ciò che diceva e faceva era per tutti spunto per le più beffarde delle satire? Non per il contenuto dei suoi concetti o la compostezza delle sue azioni, ma sol perché originate da lei, piccola, grassa e goffa, in poche parole: brutta.

Riandò con la mente alla storia del pisello inumidendo il ricordo con lacrime che, traditrici, le scendevano sul viso contro la sua volontà.

In un compito d’italiano aveva fatto sua parte di una favola appresa da bambina: una principessa era tanto fine e delicata che riusciva a percepire la presenza di un pisello sotto sette materassi, sui quali riposava. Mentre la prof. in classe leggeva il compito, Giorgio, il più vivace ed estroverso degli alunni, la interruppe gridando: “Viva la principessa del pisello”. E giù, risate, risate, laceranti come ferite di uno stiletto spuntato. D’allora in poi Selenia fu sempre e per tutti la “principessa del pisello”.

Un giorno si trovò a sbirciare nello specchio che crudelmente rifletteva la sua immagine ed ebbe la conferma che neppure i suoi occhi erano belli: mentre un occhio guardava diritto l’altro cercava qualcosa in alto a sinistra; se lei tentava di raddrizzarlo, allora era il primo ad andare per conto suo. “A questo – pensò ancora, tentando di ingannare se stessa per non spegnere l’irragionevole suo ottimismo – si può rimediare con un bel paio di occhiali”.

“Gli occhi sono lo specchio dell’anima”. Questa massima deve essere per forza vera, se da tanto tempo resiste ai mutamenti del costume e del linguaggio e se da tutti è ritenuta accettabile, senza bisogno di alcuna dimostrazione. Con ciò si vuole intendere che ad occhi belli dovrebbe corrispondere una bell’anima e viceversa”.

Gli occhi dei prevaricatori, degli omicidi, degli stupratori, dei mafiosi come sono? Se rispecchiassero davvero la loro anima dovrebbero essere neri come la pece, due palline di nauseante sterco animale. Invece capita di incontrare o di vedere fior di delinquenti, capaci di sciogliere un bambino nell’acido solforico, con occhi se non proprio belli, esteticamente gradevoli e con la stessa intensità che potrebbero avere quelli di un eremita o un idealista. Che quest’assioma relativo agli occhi non sia poi così vero come da sempre si sostiene?”

Amava lo studio, Selenia, ed avrebbe voluto arrivare almeno fino al diploma. La sua famiglia aveva di che vivere, anche se il padre era morto da diversi anni. Quelle continue umiliazioni da parte dei suoi compagni, specie quell’ultimo episodio, le suggerirono che forse era meglio per lei restarsene al riparo dalla cattiveria umana nel guscio della sua casa, anche se ciò contrastava con la sua indole naturalmente socievole, amante della compagnia e dell’aria libera.

Fu la morte della madre, alcuni mesi dopo, a rendere definitiva la sua decisione. Ora doveva fare da madre al fratello, di alcuni anni più piccolo di lei.

La vita continuò a scorrere per lei, uguale, monotona e triste oggi come ieri, come sempre.

Selenia soffriva il caldo cocente di quell’estate afosa. Avrebbe voluto uscire, qualche pomeriggio, per sedersi all’ombra, in una panchina della villa. Quando il fratello era piccolo gli faceva compagnia le rare volte che usciva di casa per una passeggiata. Ma adesso il ragazzo era un giovanotto, un bel giovanotto, ed aveva altri interessi che stare dietro a lei.

Un giorno andò a trovarla un’amica, Olga. Almeno tale ella si era più volte dichiarata. “Sai – le disse – un gruppo di amici ha organizzato per domenica prossima una gita alla spiaggia, così passiamo una bella giornata al mare. Sono venuta a dirtelo pensando che farebbe piacere anche a te. Perché non vieni”?

Dio sa quanto avrebbe gradito trascorrere una giornata spensierata ed in compagnia! Ma temeva i soliti atroci scherzi. L’amica le assicurò che mai lei si sarebbe prestata ad un tranello e fu perciò che vinta dalla sua evidente sincerità e da anni di malinconica solitudine si lasciò convincere ad andare.

Quella domenica Selenia iniziò la giornata con i compagni nel più assoluto silenzio, timorosa di ogni loro gesto e di ogni loro parola. Ma, stranamente, non le riusciva di percepire nelle loro espressioni nulla che le richiamasse i vecchi, dolorosi ricordi. Anzi, tutti le usavano gentilezza e la trattavano con riguardo. Pietro poi non le si staccava di dosso, per così dire.

“Finalmente, che gioia! Dio ti ringrazio. Per tutta la vita ho sognato dei momenti simili e Tu mi stai dando la possibilità di viverli”.

Dopo il pasto a sacco di mezzogiorno la comitiva si divise in piccoli gruppetti quasi tutti di due per condividere la propria intimità.

Selenia avrebbe voluto restare un po’ da sola per gustare appieno la felicità che la permeava tutta e per dare libero sfogo alle lacrime di gioia, questa volta sì, che spontanee chiedevano il diritto all’esistenza.

La sua beatitudine non fu interrotta ma completata dall’arrivo di Pietro che le si sedette al fianco e cominciò a fare discorsi strani. “Sono innamorato di te, concluse in modo inaspettato che a Selenia parve pure un po’ comico e la fece sorridere questa volta senza amarezza.

“Attenta Selenia, stai sul chi vive, questo vuole fregarti”.

“Pietro, non sono molto bella. Anzi, a dirla tutta sono proprio brutta. Ma non sono stupida. Ti prego, basta scherzi. Pietro protestò la sua sincerità. “Ora sei tu ad essere cattiva, mancando di fiducia, soprattutto con te stessa. Ammesso che tu fossi così brutta come dici, ma non è vero, l’anima dove la metti. Io so che la tua racchiude nobili sentimenti.

“Bravo Pietro, hai toccato il tasto giusto, continua così”.

“Pietro, come posso crederti? Non sarà la tua, una presa in giro, la più terribile fra quelle che tu ed i tuoi amici mi avete fatto soffrire?

“Guarda, ho già parlato con un prete che ho incontrato stamattina della mia…, della nostra situazione. E’ pronto a sposarci, se tu sei d’accordo.

Selenia rimase per qualche tempo stordita da quelle frasi. Le sue facoltà mentali parvero chiedere una pausa per avere il tempo di disporre in modo accettabile idee e sentimenti. Non fino a questo punto poteva spingersi la malignità umana. E poi, c’erano di mezzo un prete e i testimoni. Inoltre, Giorgio, l’artefice principale delle sue sofferenze, oggi sembrava non occuparsi di lei. Forse Pietro che pur essendo “normale” non era un adone, aveva avuto delle disavventure amorose e quindi ora si “accontentava” di lei. Se era come lei pensava, non era la migliore delle partenze per una vita di coppia. Ma se il cielo l’aiutava ci avrebbe pensato lei a farsi amare inondando il suo uomo del suo bisogno d’amore sterminato ma non invasivo, sincero ma non assillante.

La notizia si sparse nel gruppo come un fulmine a ciel sereno. Fu avvisato il sacerdote che si fece trovare pronto. Vestiva la tonaca nera, non c’era bisogno di altri paramenti, disse, data l’estemporaneità. Alla ragazza fu posto un fazzoletto bianco sul capo, mentre Pietro riuscì a procurarsi una cravatta. La cerimonia molto semplice fu, almeno per Selenia, commovente. Allo scambio del fatidico si fu un susseguirsi di: “bacio – bacio – bacio”. Prima che i due il bacio se lo dessero, Giorgio si portò al centro della cappella e volle fare un discorso.

“ Finalmente – iniziò – ho l’immenso piacere di fare gli auguri alla sposina, la Principessa del pisello che oggi sposa il Principe del fagiolo. Viva la principessa del pisello. Ah… Ah… Ah…”

E giù risate…, risate…, sarcastiche, sguaiate, oscene. Anche da parte di Pietro che aggiunse il proverbiale carico da undici: “E mi hai pure detto che non sei stupida. Ci sei cascata come una pera cotta. Ah…Ah…Ah…”

Il finto prete si tolse la tonaca; rimasto in costume da bagno commentò senza pudore: “Scherzo riuscitissimo, mi sono davvero divertito. Ah… Ah… Ah…”

Selenia non rise, ma neppure pianse. Al muro era appeso un candeliere. Lo prese e si avviò non verso Pietro che vigliaccamente l’aveva ingannata, ma verso Giorgio che, lei intuiva, aveva ideato tutto. Egli se la vide davanti prima che gli altri tentassero di fermarla. Stranamente perse tutta la sua sicumera e divenne pallido come un cencio. Per schivare il colpo di candeliere che la ragazza gli stava sferrando, fece dei bruschi passi all’indietro, inciampò e andò a sbattere la nuca contro lo spigolo di un gradino di marmo.

Selenia si risveglio dal torpore nel quale era caduta e durante il quale aveva agito inconsapevole, fra le braccia di Olga disperata e piangente: “Io non ne sapevo nulla”. Quella che per tutti, meno che per la povera Selenia, era stata programmata per essere una giornata di spensieratezza ed allegria, si trasformò in un giorno di tragedia, più grave proprio per colui che l’aveva progettata.

Dopo quei fatti nessuno vide più Selenia che non usciva mai da casa. Un giorno Olga andò a trovarla, ma nessuno le rispose. Dopo vari tentativi, chiamò i Carabinieri che tentarono anch’essi inutilmente di farsi sentire e quindi sfondarono la porta.

La trovarono distesa sul letto. Perfettamente in ordine. Vestita di bianco. Non era un abito da sposa ma un vestito che nessuno le aveva mai visto. Un velo di tulle con due margherite bianche acconciate sul capo lasciavano capire che tale per Selenia voleva essere. Sul comodino un flacone di barbiturici completamente vuoto e mezza bottiglia di liquore. Fra le mani, a croce sul petto, un biglietto su cui era scritto:

“Nulla ho avuto dalla vita pur se ero disposta a darle moltissimo. Della mia morte si dirà che ero una povera malata e forse è vero. Perdono a tutti coloro che mi hanno fatto del male”.

La morte di Selenia suscitò grande emozione in tutto il paese e sentimenti di riprovazione nei confronti di coloro che ne erano stati la causa. Qualcuno pianse di nascosto. In tutti risuonavano perentorie e ammonitrici le parole del sacerdote durante l’omelia: “Là dove non sono riuscite la scuola, la società, la religione e soprattutto le famiglie ad inculare principi etici di educazione e rispetto verso la sensibilità e la dignità dell’altro, specie verso chi per vari motivi ne ha più bisogno, vi è riuscita, almeno per il gruppo di immaturi bulli nostrani, una piccola e semplice ragazza con il sacrificio della sua vita.”

Benedetto Arancio

VIZZINI (CT)

 

Il racconto “Lo specchio dell’anima” ha partecipato all’edizione 2012 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca” nella sezione “Racconti a tema libero in italiano”.

 

spacer

Leave a reply