La testa all’aria

Non erano molte le macchine che passavano dalla strada: la vecchia millecento familiare di don Gaspàno, il panniere; il furgone a tre ruote di Santòro e il Leoncino di Cècio che cangiava ferro vecchio per sarde salate. Rosa intuiva sempre chi stava arrivando, ma quel pomeriggio non riusciva a capacitarsi, anche se era sicura di avere già sentito quel rombo. Incuriosita, smise di rammendare ed aspettò. Quando la camionetta comparve all’angolo della strada, ella provò turbamento, non le piacque quel colore verdastro nè i carabinieri che vi stavano dentro. Abbassò la testa e riprese a lavorare, sperando che proseguisse oltre. Invano!

Brutta giornata! L’olio, versatosi a terra dalla bottiglia, sfuggitale di mano nel solaio, era stato un sufficiente avviso nel primo mattino. A nulla, dunque, era valso l’abbondante spargervi sopra del sale per scongiurare disgrazie!

– Buongiorno, signora Marsala.

Rosa guardò negli occhi il brigadiere, sceso dalla macchina, e poi il carabiniere, rimasto al volante, rispondendo con un impercettibile cenno del capo. Il graduato le si avvicinò.

– Nicola Presti è vostro figlio?

– Voi lo dite.

– Lo cerchiamo.

– E qua lo cercate?

– Non abita qui?

– Quando c’è, sì.

– E ora dov’è?

– Quello come il vento è, non sta fermo mai.

– Deve venire in caserma con noi.

– E allora portatevelo.

La donna mosse una mano a ventaglio, davanti al viso, per scacciare una mosca, anche se in giro non ce n’erano. Il brigadiere, imbottigliato in quel dialogo cieco, cercò solidarietà nel sottoposto che intervenne.

– La sera torna a casa?

– C’è quando torna, … c’è quando non torna.

– E stasera?

– Io qua sono.

Il carabiniere non seppe porre nuove domande ed il superiore fu pronto.

– Signora, ditegli che deve venire in caserma o …

Rosa si alzò e, sgarbata, interruppe la comunicazione dell’uomo di legge.

– In caserma? E che ci deve venire a fare mio figlio in caserma?

La mosca tornò invisibile e la mano riprese a scuotersi.

– Lo vuole con urgenza il maresciallo, diteglielo.

– Se si fa vivo, vi servo.

– Non dimenticatelo.

– Me lo scrivo dietro le spalle.

Il brigadiere non capì cosa Rosa dovesse scrivere dietro le proprie spalle e preferì chiudere la conversazione. Appena la camionetta ebbe svoltato l’angolo, ella alzò gli occhi verso il balcone, morse a lungo l’indice della mano sinistra, scuotendo la testa, ed infine sbattè con forza le mani aperte sulle cosce. Nicola era ancora lì a giocare a ti vedo e non ti vedo, incurante dell’agitata mano della madre che lo aveva invitavo a togliersi dalla vista dei carabinieri. Entrata in casa, fra madre e figlio, si sentì un rumoroso silenzio che si allargò in strada.

– Affacciati, così ti vedono e non hanno bisogno di cercarti.

Dal balcone venne fuori la risata di Nicola.

– Ma’, che ti scanti? Carabinieri sono!

– Ti devi presentare in caserma.

– Uno di questi giorni ci vado.

– Consumata sono con te. Signore, come devo fare?

****

– Non c’era anima viva, zi Tano, se no che ero babbo a …

Tano, lo guardò severamente ed egli non aprì più bocca.

– Qualcuno ti ha visto.

– Lo scuro si poteva tagliare con il coltello. Mi deve dire vossia chi mi poteva vedere.

– Chi è andato in caserma a cantare.

– Ha ragione, cantano tutti in questo paese. Se mi dice il nome, io ci tiro il collo come a un gallo e così la finisce di cantare.

– Non serve tirare il collo al gallo perchè, quando canta, il mattino è già affacciato.

Nicola attese che l’altro fermasse l’agitato muoversi per la stanza.

– Zi Tano, la galera è brutta …

– La galera è per chi ha fatto la mala azione. … Sei stato tu?

Gli occhi di Nicola si spalancarono. Quelle parole erano un faro che illuminava la strada per la salvezza.

– Zi Tano, io sono stato?

Istintivamente, tese le braccia verso il salvatore che rifiutò l’abbraccio.

– Tu? Che sai fare cose di uomini? – Nicola si chiuse in penitenza. – … Tu, l’altro giorno, eri a caccia a Bissana con amici.

– Ragione ha vossia, a caccia a Bissana ero!

Uno sguardo suggellò l’intesa.

– Ti devi arrassare dal paese e vediamo di metterci una pezza sopra. …

Salutami mio compare e digli che sarà servito come merita … un’altra volta.

– Zi Tano, vossia ci deve pensare per mia madre.

– Per le madri ci devono pensare i figli … se sono ubbidienti.

Il graziato stampò a lungo le proprie labbra sulla mano del graziante e fu tempo di darsi alla macchia.

***

Qualche giorno aveva detto lo zi Tano, il tempo di aggiustare le cose. Nicola stava tutto il tempo con gli occhi fissi nel vuoto, quella figuraccia gli bruciava come il fuoco di sant’Antonio. Lo stomaco chiuso, si campava d’aria e acqua. Bastiano, pecoraio di giorno, era attento sorvegliante del feudo e, la sera, postino fidato.

– Bastiano, che si dice?

– Non sei buono manco a fare la o con il bicchiere, si dice.

– E lo zi Tano?

– Gli viene il rovescio se pensa alla figura che gli hai fatto fare.

Un pomeriggio, i cani abbaiarono. Nicola sussultò e perlustrò minuziosamente la trazzera, solo da lì potevano arrivare i carabinieri. Era Bastiano che impiegò un’eternità ad arrivare al pagliaio.

– Il sarto ha messo la pezza ai pantaloni.

– Come sono venuti?

– Nuovi, te li puoi mettere per la festa.

La notte fu lunga. Nicola la passò tra probabili domande e convincenti risposte.

***

L’appuntato sistemò la carta carbone tra due nuovi fogli di carta velina, li inserì nella macchina di scrivere ed il maresciallo fece cenno a Nicola di continuare la dichiarazione.

– Come ci stava dicendo, lungo la trazzera, ho sentito un rumore, voglio che mi crede, mi sono girato con un poco di scanto, e …

– Hai visto una giumenta.

– Proprio così, maresciallo!

– Hai riconosciuto che era una bestia di Cianciana, e …

– Di Cianciana, dice?

– Ha una macchia bianca sulla fronte, la riconosciamo tutti.

– Non ci ho fatto caso, lavorando da mattina a sera, sono tanto stanco che non ci vedo più dagli occhi … in paese non torno da tre giorni.

Il maresciallo, catturato lo sguardo di Nicola, si schiarì la voce con una serie di colpetti di falsa tosse, spinse in fuori le labbra, chiuse a muso, fino a toccare la punta del naso, mentre gli occhi sgranati diventavano strabici, una convincente gestualità per accusare di falso. Restò in questa mimica facciale che prevedeva che chi tra i due non aveva le carte in regola, distogliesse lo sguardo. Lo fece Nicola. Una chiara confessione gestuale che, per essere tale, non poteva essere assunta a prova giudiziale. Il maresciallo precisò:

– Quattro giorni.

Nicola ebbe un momento di esitazione ed inghiotti la saliva che gli si era accumulata in bocca.

– Come ci stava dicendo, … io camminavo e la giumenta camminava, io mi fermavo …

– … e la giumenta si fermava …

– … allora ho detto: Chi scanza pericoli, scanza guai! Se la giumenta mi viene appresso fino in paese, la lego al muro della caserma, la consegno al maresciallo e mi levo di responsabilità. Non si deve mai dire che io mi approfitto della roba che non è mia.

– La roba degli altri è sacra a Cianciana.

– Lo può dire forte e adagio, paese onesto è.

L’appuntato si impegnò a cercare dentro un cassetto della scrivania.

– Maresciallo c’è … c’è una denuncia per il furto di una giumenta.

– C’era, appuntato, c’era. La denuncia è stata ritirata stamattina.

La buona notizia rasserenò il volto di Nicola che riprovò spavalderia.

– Si vede che il padrone non era tanto sicuro e si è messo a posto la coscienza, … maresciallo.

– E pure il corpo, che è importante, si è messo a posto … Nicola.

– Bene ha fatto. A sangue caldo, uno denuncia e poi, a mente serena, ci riflette e le cose paiono più chiare.

– Sarà!? Quando è venuto in caserma, era sicuro che la giumenta gli fosse stata sottratta, sotto la minaccia di un fucile, da un giovane … ci ha fatto anche il nome … Appuntato come si chiama quel giovane, sospettato del furto della giumenta? – L’appuntato capì che non era il caso di fornire alcun nome e si attardò a far girovagare la memoria. – Lasci stare, non è più il caso. … Il denunciante è venuto stamattina a dire che, quando ha la pressione del sangue alta, sente voci e vede persone che non esistono, … forse. E dire che potevamo procedere all’arresto!

Nicola si mordicchiò a lungo le labbra.

– Maresciallo, prima di arrestare qualcuno, è giusto sapere se il denunciato quel giorno aveva anche lui la pressione alta e dice …

– … di essere stato a caccia con amici?

Nicola pulì a lungo il naso asciutto con il fazzoletto.

– Però se ci sono i conigli, si può controllare.

– I conigli, le pelli ed il fuoco dell’arrosto … sotto il carrubo, vicino alla trazzera.

– Mangiando, qualche traccia resta … è una prova. No?

– Nicola, in queste cose, basta la parola degli amici … degli amici.

Testimonianze d’oro in un processo.

– I giudici devono tenere conto delle testimonianze.

– I giudici giocano con le carte che hanno in mano, a volte hanno le briscole e perdono la partita ma sono persone pazienti. Al tavolo da gioco: Carti vennu e iucaturi s’avanta, dite a Cianciana.

– Al suo paese non si dice?

– Noi diciamo: Lu surci cci dissi a la nuci: Dùnami tempu cà ti pèrciu.

L’appuntato porse la deposizione ed invitò il dichiarante a leggerla. Nicola prese il foglio e non lo degnò di uno sguardo.

– Non lo leggi?

– Maresciallo, vuole babbiare? Fiducia. … Per firmare, ho bisogno di tempo, non ho tanta confidenza con la penna, mi pare che pesa un cantàro in mano.

– Ti pare più leggero un fucile, se lo tiene con due mani.

Nicola non accettò di entrare in disquisizioni puramente formali, mise nome e cognome e tirò un lungo respiro.

– Se non ha bisogno di me, me ne vado.

– Aspetta il padrone, a momenti arriva.

– Lo avete chiamato?

– Non c’è bisogno, è da stamattina che passa e ripassa davanti alla caserma in attesa della giumenta.

Nicola non volle leggere il beffardo sorriso che lo accompagnava alla porta. Il maresciallo si avvicinò alla finestra e guardò in strada. Ladro e padrone si incontrarono vicino alla giumenta e diedero inizio al rituale: Una stretta di mano e poi un bacio, porgendosi una e l’altra guancia, tenendo ognuno la mano sinistra sulla spalla destra dell’altro. In Sicilia ci si bacia per amore, tra uomini e donne, o per tacito odio, tra uomini.

– Appuntato, vada ad aprire, abbiamo visite.

I militari si sedettero, pronti ad assistere ad un altro atto di una recita secolare sullo sfondo di una Sicilia a lutto, vestita di desideri e di speranze. Il sipario si aprì e l’attore diede il meglio di sè per onorare la teatralità.

– Maresciallo, al mulino ero, a macinare. Ho sentito dire che c’era una giumenta, legata alla caserma. … La mia è!

– Siete sicuro? Badate che se avete la pressione alta, vi pare di vederla ma in realtà non la vedete.

– Ragione avete. La pressione mi tiene la testa all’aria ma mi pare che l’ho toccata. … Maresciallo! Guardi! Un pelo della coda mi è rimasto in mano!

Francesco Cannatella

 

Il racconto “La testa all’aria” ha partecipato all’edizione 2012 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca” nella sezione “Racconti a tema libero in italiano”.

 

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