Ricordo d’estate

Un’estate calda quell’estate. Un caldo che toglieva la voglia di fare la più semplice delle cose. Fra lo sventolare di un pezzo di cartone e lo sciogliersi del ghiaccio nei bicchieri, si rimaneva il più possibile immobili nell’attesa che il sole scomparisse dietro ai grattacieli dei ricconi. In quel momento si apprezzava l’esistenza di quei monoliti innalzati solo per ricordarci, in ogni momento della giornata, la nostra misera esistenza. L’ombra, come mano divina ci riparava dal sole cocente. Come lumache nella pioggia ci si riversava nelle strade. Ma il fatto non accadde in quei momenti, proprio no. A nessuno con un po’ di cervello poteva venire in mente di fare quello che sto per raccontare; o meglio, così avrei pensato se non fosse accaduto. Erano le prime ore del pomeriggio, nemmeno le mosche avevano voglia di dar fastidio, immobili come nei sulle pareti risparmiavano il fiato per la serata. All’improvviso un suono scoordinato di batteria, clarinetto, violoncello e voce si era riversato per le strade. I soliti scansafatiche con l’autoradio a tutto volume che scarrozzano in giro, si era subito pensato, invece quel suono che si sperava passeggero, si stava impadronendo di tutto il quartiere. Con malavoglia mi ero affacciato alla finestra e avevo intuito l’origine della musica; si musica, perché da prima sconclusionati i suoni avevano trovato un percorso unico per diventare un vero e proprio componimento. Il terzo appartamento del palazzo con i mattoni rossi alla mia destra. Da li usciva la musica. Giorni addietro una famiglia di italiani squattrinati, e chi non lo è nel quartiere, si era trasferita nel palazzo, ma al quarto e ultimo piano non al terzo. E chi ci abitava allora? Lasciato quel pensiero evaporare al sole ero rintanato. Smetteranno fra poco; con questo caldo smetteranno. Avevo detto fra me rinfrescandomi con Coca e ghiaccio. Invece no! Quelle carogne non solo non avevano intenzione di smettere ma aumentavano di tono.

– Basta!

– Avete rotto con questa musica!

– Qui c’è gente che vuole riposare!

– Vaffanculo voi e il vostro jazz, negri di merda!

Che il jazz non fosse prerogativa, o in questo caso colpa, solo nostra era risaputo da decenni. Avrei potuto urlagli i nomi di Paul Desmond, Dave Brubeck, Keith Jarrett e tanti altri, ma invano; Kevin O’Kelly sarebbe rimasto nella sua ignoranza Irlandese.

Tutte le teste del quartiere si erano affacciate nervosamente dalle finestre. Nonostante il clamore, i musicisti non sembravano aver intenzione di smettere, anzi, la voce femminile incalzava gli strumentisti a continuare con più vigore. Dalla mia postazione riuscivo a vedere, tramite la finestra del loro pianerottolo, oltre la loro porta, Amos e Ychay, i due ebrei titolari del supermarket, che con impeto bussavano. Niente da fare. Porta chiusa e musica incessante.

Le ore passavano e con loro la musica. Qualcuno aveva azzardato la chiusura della finestra, per ricredersi subito dopo. I climatizzatori, vecchie escrescenze, avevano smesso di funzionare con la morte di Rooselvet. I ghiaccioli si scioglievano fra le dita dei ragazzi che, per niente intimoriti dall’arsura, e chi lo è a quell’età, bazzicavano fra le vie alla ricerca di un passatempo. E lo avevano trovato. Saranno stati i sassi lanciati dai ragazzi alla finestra, o la paura che la collera di tutto il quartiere sfociasse in qualcosa di brutto, fatto sta che due pattuglie erano arrivate spedite. Il canto della donna, solo suono senza parole, faceva eco all’urlo della sirena. Radoslav Kozlov, millantante ex agente del KGB esiliato per motivi politici, indicava ai due agenti il piano incriminato. Lo sconforto per la mancanza di ascensore era chiaro nei volti degli agenti che dopo aver allontanato il “collega”, avevano tirato a sorte per chi doveva rimanere a piantonare le auto.

Al susseguirsi delle rampe diminuiva l’irruenza. La staticità dei poliziotti veniva meno ad ogni passo, il corrimano era diventato un valido appiglio. Mettendo in relazione la musica con la scena dei poliziotti mi riaffioravano alla mente i vecchi film muti dei vecchi tempi, quando alle scorribande di Buster Keaton o di San Laure & Oliver Hard corrispondeva una musica canzonatoria. Li stavano prendendo in giro; ne ero certo. Col fiato corto e le camicie zuppe di sudore i poliziotti erano arrivati a destinazione. Nemmeno al battere dei manganelli si era aperta la porta. Dopo aver urlato qualcosa, uno dei due agenti aveva estratto la pistola. Allo scoppio dei due colpi era cessata la musica. La goduria di arrestare gli inquilini era tangibile nei loro sguardi. Un ultimo colpo di teatro: il calcio alla porta. Nessuno!

L’appartamento era vuoto. Subito gli agenti si erano fiondati sulla scala antincendio. Nessuno. Solo la famiglia Demopoulos al completo, madre, padre, figlie e nipoti, che dal marciapiede li osservavano. Rientrati avevano setacciato l’intero appartamento. Vuoto! Non proprio vuoto, quattro strumenti erano posati su altrettanti sgabelli, mentre un microfono sostava al loro centro.

Questo era successo in quel giorno di una calda estate, così calda che avevo deciso di lasciare sullo sgabello il mio clarinetto. 

Paolo Tortorici

Sciacca

Il racconto “Ricordo d’estate’” ha partecipato all’ edizione 2013 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”, classificandosi al SECONDO POSTO della sezione “Racconti a tema libero in italiano”.

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