Donna con noi, madre per noi

I genitori di Maria non avrebbero voluto che la loro unica figlia si sposasse così presto, così giovane, e poi con un uomo così tanto più grande di lei… no, proprio non capivano cosa era successo alla loro cara e dolce Maria, alla loro figlia che era sempre stata così tranquilla, così ubbidiente, così matura, così responsabile…

Aura e Giacomo avevano avuto questa figlia avanti negli anni, quando ormai tutti i medici, e Dio sa quanti ne avevano consultati, avevano tolto loro tutte le speranze. E si era rassegnata Aura a vivere senza la gioia di essere chiamata mamma; finché un giorno c’era stata la sorpresa: aveva anche lei una vita che le stava crescendo dentro!

La gravidanza non era proprio stata semplice: aveva dovuto monitorare spesso quel nuovo essere con continue ecografie e visite, era stata costretta a stare molto a riposo vittima di una nausea mai provata prima, aveva dovuto prendere medicine molto particolari, ma alla fine era nata lei, quella meravigliosa creatura dagli occhi azzurri ( ma da chi mai li aveva presi?) che aveva riempito immediatamente la loro vita. Certo, era risultato faticoso seguire la crescita di una figlia arrivata in tarda età quando le forze fisiche non sono adeguate alle esigenze di un essere che invece polarizza tutte le attenzioni e richiede tutte le energie. Ma che importava? Importava non essere più soli, importava avere finalmente uno scopo nella vita.

Maria comunque non aveva mai dato loro particolari problemi: era sempre stata una bambina tranquilla, intelligente, desiderosa di guardarsi  attorno e di conoscere sempre più cose possibili.  Aveva sempre avuto però due caratteristiche caratteriali che sembravano contrastare tra loro: da un lato il desiderio di stare spesso da sola, in silenzio, come se volesse fuggire dalla confusione della vita quotidiana, cercando un suo mondo dove nessuno poteva entrare ( quante volte i genitori l’avevano trovata nella sua stanza che guardava dalla finestra talmente assorta che sembrava  non si accorgesse più di nulla, o quante volte l’avevano “sorpresa” in preghiera e neanche il suono del cellulare riusciva a scuoterla dal suo silenzio); dall’altro la smania di conoscere persone, di vivere le sue giornate riempiendole di esperienze, di incontri, di emozioni. Non c’era una cosa che non facesse con gioia: dal fare la spesa, al gettare l’immondizia la sera al posto di suo padre, all’andare al mare con le amiche, all’andare in palestra, allo studiare. A scuola era brava, ma non assolutizzava lo studio, perché diceva che il tempo andava usato in modo equilibrato: studiare sì, ma riuscire anche a dedicarsi ad altro.

Era, per esempio, rappresentante della sua classe ed era capace di battersi per le battaglie che riteneva giuste, come il miglioramento della struttura piuttosto fatiscente della scuola, o una migliore ripartizione dell’orario scolastico. E poi faceva anche del volontariato in una casa di riposo per anziani ed era stata capace di coinvolgere alcune sue compagne.

Insomma, Maria era una ragazza in apparenza come tante altre, eppure tanto diversa.

A volte nei suoi occhi azzurri come due laghi alpini si leggeva tanta tristezza che sembrava impossibile potesse esserci in una ragazza giovane  e spensierata come lei; a volte c’erano una gioia, una serenità, una profondità che sembravano altrettanto strane e inusuali.

Maria era una contraddizione vivente, eppure era facile amarla ed era bello stare con lei. Aveva qualcosa di magnetico che attirava non appena la si conosceva; come se emanasse un fascino che non apparteneva però al suo corpo, tuttavia decisamente armonico, ma alla sua anima, un fascino che proveniva dal suo interno e che emanava serenità, armonia, gaiezza, disponibilità, verità, coerenza, insomma tutte quelle qualità che chiunque vorrebbe per se stesso e vorrebbe trovare negli altri.

Poi quella notizia improvvisa: Maria voleva sposarsi, subito, con un uomo che i suoi genitori non conoscevano…era davvero imprevedibile e lacerante! Da lei non se lo sarebbero mai aspettato!

Ma Maria si era mostrata irremovibile; non aveva voluto nulla dai suoi genitori, perché il suo uomo sarebbe stato in grado di provvedere a lei in tutto. E così si era sposata in fretta, senza inviti, senza festa, aveva preferito una semplice cerimonia nella sua parrocchia ed era andata ad abitare in una  casa in periferia, moderna ma essenziale. Aveva anche interrotto gli studi perché…aspettava un bambino e voleva fare la moglie e la mamma a tempo pieno: il lavoro di suo marito, operaio in una fabbrica di mobili, dava il necessario per vivere decorosamente. E poi Maria non era mai stata una a cui piaceva il superfluo: i suoi  genitori l’avevano fatta crescere nel benessere, ma lei aveva spesso rifiutato ciò che non riteneva necessario; così era capitato che molti giocattoli restavano nelle loro confezioni, fino a quando non venivano regalate a bambini più bisognosi; oppure si era rifiutata di guidare la macchina nuova regalo dei suoi 18 anni, preferendo la sua amata bicicletta che le permetteva di ovviare al traffico cittadino evitando ritardi.

L’essere diventata mamma aveva reso Maria ancora più felice; quel nuovo ruolo le riempiva le giornate e aveva sempre tanto da fare perché era lei che si occupava dei lavori di casa, infatti non poteva permettersi un aiuto dato che lo stipendio del marito non era certo eccessivo, ma lei era contenta così.

Man mano che suo figlio cresceva, Maria aveva ripreso a fare volontariato. Di tempo libero ne aveva abbastanza perché i suoi genitori  erano morti proprio poco dopo la nascita del suo amato figlio e i pochi parenti che aveva non la cercavano, forse perché temevano di doverle qualcosa, ma lei non avrebbe mai chiesto nulla; Maria era capace di badare a se stessa, forte dell’amore di suo marito e di suo figlio.

Era una vita semplice quella di Maria; e poi, da quando si era sposata, era diventata più silenziosa, più “casalinga”, aveva accentuato quell’aspetto del  carattere che sempre aveva avuto, cioè il bisogno di stare molto nel silenzio, assorta nella preghiera. Però non lesinava sorrisi a chi incontrava e si fermava a parlare con chiunque mostrasse di aver bisogno di una parola. E man mano che la gente veniva a contatto con lei, si stupiva di come una donna così giovane emanasse tanta serenità, tanta saggezza, tanta gioia di vivere.

Anche lei si rattristava quando assisteva a delle ingiustizie o quando vedeva che le cose nella sua città andavano a rotoli, ma continuava a non perdere la speranza che prima o poi anche le coscienze più sopite si sarebbero svegliate. E se proprio non poteva fare nulla, si metteva a pregare.

Intanto suo figlio cresceva e le somigliava in tante cose, ma in altre non le somigliava per niente, per esempio si faceva coinvolgere in tutte le manifestazioni dove c’erano diritti da rivendicare: o un corteo di operai in cassa integrazione, o un corteo di disoccupati in attesa di una casa o di precari in attesa di un contratto più umano. Oppure andava spesso nei centri dove c’erano barboni o drogati ed era capitato che si era fatto coinvolgere in risse per difendere chi veniva preso in giro e alcune volte era anche finito in qualche commissariato di polizia tutto contuso, perché lui non alzava mai le mani, piuttosto le prendeva, ma non smetteva mai di intromettersi per difendere quelli che gli sembravano i più deboli.

Finché un giorno suo figlio ritardò più del solito. Maria aveva provato a chiamarlo col cellulare, ma risultava spento. Non sapeva più a cosa pensare, ma sentiva dentro di sé un brutto presentimento. Squillò il telefono: le dissero che suo figlio era in ospedale perché gli avevano dato una sprangata. Era corsa in ospedale più in fretta che aveva potuto, prendendo un taxi ( da sposata non si era mai potuta permettere una macchina), ma non era riuscita lo stesso a vedere suo figlio vivo.

Il suo strazio era inenarrabile. E questo strazio la trovava da sola perché pochi mesi prima aveva perso il caro sposo colpito da improvviso infarto. Era davvero penoso vederla, ma allo stesso tempo ammirevole perché non le usciva dalla bocca una parola di odio, di vendetta per coloro che gli avevano ucciso il figlio: no, il suo dolore era un dolore assoluto ma puro, dignitoso.

Passati alcuni mesi dalla morte del figlio, Maria aveva deciso di cambiare città perché troppi erano  i ricordi che le riaprivano le ferite che aveva profonde nel cuore e troppo grande le appariva quella città dove si sentiva sola e smarrita; aveva accettato l’invito di alcune suore che, in un paese lontano da lì, si occupavano di bambini orfani o di bambini sottratti ai genitori perché incapaci di averne cura. Sì, quella era sembrata la soluzione migliore per lei e così, raccolte le sue povere cose, i pochi ricordi del marito e del figlio, dopo avere salutato i vicini e i conoscenti che l’avevano amata, apprezzata e ammirata, se ne era andata, una mattina, molto presto.

E di lei nessuno aveva più saputo nulla.

“Eccomi, Gesù”.

“Madre, ti ho aspettata. Raccontami. Io so come è andato questo tuo ulteriore incontro d’amore con i figli, ma vorrei che me ne parlassi tu”.

Sai, figlio mio, io l’ho fatto perché volevo rivivere ciò che oggi tutti i miei figli vivono, tutti i dolori, le gioie, le emozioni, i rimpianti, le attese, le speranze, le delusioni, gli amori, le ingiustizie, le amicizie, insomma tutto quello che oggi fa parte della storia degli uomini, perché mi sentissero vicina, perché non voglio che mi pensino come una donna che ha vissuto nel suo tempo e quindi lontana dalle loro strade e dai loro percorsi, ma una donna capace di entrare nelle loro storie, una donna capace di stare accanto nel loro “oggi”, nel loro quotidiano, nella loro normalità.

Io non avrei avuto bisogno di tornare a rivivere un’altra storia perché io ho già in me tutte le storie che sono state e che saranno, ma l’ho fatto per loro, tu mi capisci…

So che nessuno mi ha riconosciuta, ma so anche che mi hanno “sentita “ nel loro cuore, so che “le mie tracce” sono rimaste nei loro cuori e che mi riconosceranno ogni qual volta mi chiameranno e mi sentiranno accanto, e sentiranno la mia mano, il mio abbraccio, e capiranno che io sono coetanea e contemporanea di tutti, sentiranno che io non sono prigioniera del tempo e dello spazio, ma sono e sarò sempre presente in tutti gli “oggi” che ci saranno fino alla fine dei tempi. Sono sicura che finalmente sentiranno che io sono e sarò sempre per loro madre d’amore” e di misericordia.

“Grazie ancora una volta, Madre,- rispose Gesù – anche per chi non ti ringrazia abbastanza”; grazie per aver voluto regalare ai tuoi figli un’ennesima prova del tuo immenso cuore”.

Palma Civello

Palermo

Il racconto “Donna con noi, Madre per noi”  ha partecipato all’ Edizione 2015 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”, classificandosi al TERZO POSTO della sezione “Racconti a tema libero in italiano”.

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