L’uomo e la conchiglia

Era tanto, tanto tempo che non si vedeva più un tramonto così.
Se la memoria dell’uomo potesse regredire fino a portarsi al limite del ricordo, dovrebbe fermarsi a molti anni fa, e solo per trovarne uno parvente, illusione di specchio opaco. Ancora, la memoria dell’uomo stenterebbe a trovarne i particolari comuni, a gustare quei profumi e a sentire quei gusti che nella più pura essenza riescono ad inebriare i sensi e che talvolta riaffiorano sollecitando l’inconscio. Una sensazione profonda di deja vu induce l’uomo a pensare come ogni suo simile viva una esistenza che va di molto al di là di uno sfuggevole presente, estendendosi oltre i confini delle consuete una o due generazioni nelle quali è convenzionalmente compreso l’acciglio della vita umana.
Sensazioni già vissute, parole già dette e, forse, già ascoltate gli affollano la mente, disclocandosi repentine, verso la sua anima. Sono un insieme impressionanti di azioni, gesti, frasi che hanno già avuto il loro spazio e che continuamente si ripetono, ogni giorno, impregnando le ore quotidiane, fino a chiudere il cerchio là dove era incominciato. In questo strano tramonto, nel quale tante cose colpiscono lo sguardo che spazia tutto all’intorno, l’uomo fissa la sua attenzione su pochi particolari sfuggenti, su piccole cose che riempiono di loro stesse tutto il paesaggio.
C’è una conchiglia in riva al mare, una piccola conchiglia che nasconde un segreto dentro di sé, e che se ne sta chiusa chiusa lasciandosi cullare dalla spumosa risacca del mare di maggio. L’acqua, ancora gelida a causa del ricordo dei mesi appena trascorsi, l’avvolge e la conchiglia, tra un rotolare e l’altro, si scontra e si fa largo tra le pietre del bagnasciuga, cercando di proteggere il suo tesoro fino a quello che sa essere il giusto momento.
Le lunghe ombre delle soffici nuvole arrossate dal crepuscolo si distendono sulla spiaggia, cambiandone i colori verso tonalità più cupe, proprie della notte che sta per giungere avanzando in punta di piedi. La spiaggia è ormai deserta. C’è solo un ombrellone ancora aperto e qualche giocattolo sepolto nella sabbia, unici segni di una giornata affollata. Insieme a loro, s’imbucano poche orme, mosse da pensieri che si inseguono, da parole sfuggenti, da idee che l’uomo non riesce più ad afferrare, pensieri che volano nel cielo.

Cielo in cui si sentono voci di gabbiani che cantano la loro ultima canzone prima di colare verso un vicino promontorio, sulla cui piaggia si appoggiano e si addormentano accoccolandosi dentro le bianche ali. Quelle ali li hanno trasportati sostenendo il loro volo nella giornata appena trascorsa, facendo loro scorgere lembi nudi di terra e scorci di mare, fronde d’alberi, mani di persone. Quelle ali li hanno sospesi tra le caleidoscopiche emozioni che aleggiano sopra il capo nudo degli uomini; li hanno fatti galleggiare nell’aria immobile e scura, in questo tempo, per l’uomo, ancora riscaldata da un timido tepore che giunge dal sole infuocato.
Sole che si sta tuffando nel mare un po’ increspato da un fiato di vento orientale, immergendo lentamente la sua fornace e il suo calore in acque che mai riusciranno ad estinguerlo. Quelle acque potranno solo accoglierlo con la loro frescura e con un acre sapore di salsedine, custodendolo durante il suo breve sonno, meritato dopo una lunga giornata passata da far da sentinella a tutta la terra e ai suoi figli. Quelle acque ora rispecchiano il viso rotondo dell’amata sorella del sole, che lattea s’affaccia sorgendo dalla cruna dell’orizzonte.
Luna, bianca luna, con il suo vestito ricamato di stelle dagli angeli, viene a vegliare la terra che si è appena addormentata. Viene a custodire il sonno, ad ispirare i sogni più belli, quelli che scacciano le difficoltà della veglia, quelli che si affidano solo alla bellezza della fantasia, alla ricchezza dei desideri. Quei sogni che si mescolano ad una notte rapida a terminare così come rapida è iniziata. All’orizzonte il mare già incomincia a ridare ciò che aveva accolto e custodito. Rispunta il sole grondante di rugiada mattutina. Raggi di vita si allungano sull’acqua, andando a sfiorare la terra per ridestarla dal suo sonno sicuro. Con un tocco magico aprono gli occhi di mille e più di mille creature, accarezzando con dita di luce i loro volti, le loro palpebre, sollecitando la loro veglia con un chiarore sempre crescente. I fiori sentono bussare alle loro corolle questa nuova giornata che sta lentamente destandosi, e si dischiudono per assaporare l’aria fresca del mattino, nutrendosi di un’alba che appare infinta.
Laggiù sulla battigia incombusta al tramonto e rorida d’alba, quella piccola conchiglia cerca di farsi largo tra i ciottoli per raggiungere il mare, i suoi scuri e profondi fondali. Il suo desiderio è lasciarsi trasportare dalle maree fino al centro degli oceani e lì rivelare il segreto che gelosamente ha custodito, dischiudendone le sue labbra in un bacio, una nera perla di cuore, un cuore intriso di pensieri, di pensieri di sogni, di sogni d’amore.
Quell’amore che, nella notte che è preceduta a questo affresco d’impressioni latenti, l’uomo ha perduto.

di Roberto Gennaro
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Il racconto “L’uomo e la conchiglia” si è classificato tra i finalisti della sezione dei racconti del Premio Nazionale di Letteratura e Poesia “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”, Edizione 2009.

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