QUINDICI ANNI

Aveva quindici anni quella ragazzina dall’aria trasognata, che sembrava non sapere chi fosse, e perché le piacesse tanto correre anche quando soffiava quel vento che le arruffava i lunghi capelli neri e le mozzava il respiro. Lei chiudeva gli occhi, dopo avere contemplato a lungo il mare grigio dalle onde sempre più alte e minacciose, e quel loro brontolio sordo e sinistro le colmavano l’animo di una struggente malinconia che lei assaporava quasi con voluttà.

L’amore smodato per il mare, il suo sostare ore intere sulla spiaggia a godere del caldo sole di Siracusa, le aveva imbrunito e levigato la sua pelle già bruna, facendola apparire quasi una statuetta di bronzo.

Lei era la ” niura”, così spesso la chiamava sua madre quando, irritata, voleva punirla!

A questo crudele scherno patito in casa, lei con angoscia, univa le beffe a cui veniva sottoposta da alcune compagne più grandi, alla scuola di ricamo che lei frequentava, quando la costringevano a ingiustificati servigi, poiché la consideravano la servetta “niura”.

Quanta tristezza, quanto dolore le davano questa parola durante il giorno!

Ma di notte, lei sembrava avere la sua rivincita!

Sognava diventare bellissima, tutti la guardavano ammirati e dicevano :“ Come è bella questa fanciulla, è bellissima, la più bella di tutte!”

Allora sorrideva felice! Era bella, ben vestita, non più addosso quel vestito fatto con il tulle delle zanzariere che gli inglesi usavano al campo di concentramento, e che Guglielmo, il ragazzo un po’ strano e difficile, amico del fratello, le aveva regalato per farne un vestito, e che la madre per renderlo più credibile, aveva riempito di nastri azzurri.

Non più ai suoi piedi, quei poveri piedi, gli zoccoletti di legno che le rendevano i passi incerti, facendole torcere le caviglie e a volte anche sanguinare i piedi.

Così il suo vero mondo, la sua realtà, era quella che lei si era creata, quando fantasticando ad occhi aperti, continuava i suoi sogni seduta nel cortile di casa, rannicchiata dietro ai “cannizzi” per non farsi scorgere da alcuno, e, quando finalmente sarebbe giunta la notte, avrebbe nascosto il capo sotto il cuscino per non udire gli aspri rimproveri della madre, che puntualmente l’ avrebbe sgridata per farle rifare il letto.

Lo avrebbe saputo solo più tardi, quella ragazzina romantica e sognante che non era mai stata brutta, altresì una fanciulla bella, forse la più bella di tutte così come anni addietro sognava di essere!

Ancora più tardi avrebbe scoperto che quella bellezza, quella sua avvenenza, prepotente e ingenua al tempo stesso, che l’ avevano fatta ammirare e cercare da molti uomini, non le avrebbe donato quella felicità, quella gioiosa serenità che da fanciulla si era inventata.

Passarono gli anni..

La sognatrice fanciulla divenne una fragile donna che non aveva smesso di sognare, viveva in un mondo tutto suo, costellato di realtà inesistenti ma a cui lei fermamente credeva.

Spesso la turbavano i ricordi del passato, le sofferenze ed i pianti di quando in un periodo non troppo facile per tutti, il dopoguerra, lei era costretta a viver la sua adolescenza che si affacciava timidamente alla prima giovinezza, con il retaggio e le frustrazioni di quando era “ la niura”, ed anche se cosciente che il tempo aveva smentito tutte le crudeltà gratuite a cui lei era stata esposta, le rimaneva nel cuore quel velo di malinconia, che la portava a diffidare di chiunque le voleva parlare d’ amore.

E lo sfuggi l’amore, a sedici anni! quando non capì o non volle capire il balbettio confuso ed accorato e sicuramente sincero di un giovane avvocato, funzionario di un ente preposto all’assistenza dei sinistrati di guerra, che per venire in aiuto alle esigenze della sua famiglia in quel periodo così difficile del dopoguerra si era adoperato per far si che a lei ancora quasi una bambina, sebbene studentessa ginnasiale, le venisse affidata come vigilatrice, una sezione scolastica di una colonia estiva.

E continuò a sfuggirlo l’amore, pur sentendo vivo il desiderio di conoscerlo, di affrontarne le gioie ed i dolori.

Avvenne che un giorno, come per un gioco, o forse un alternativa ingenua ma crudele ai pensieri che la turbavano, volle concedersi degli incontri amorosi, che se per un po’ la interessavano dopo la portavano a meditare su ciò che realmente s’attendeva e quindi molto spesso la deludevano e la facevano soffrire!

Rassegnata e delusa, un giorno si disse:” Il tempo dei sogni, delle illusioni, dell’incanto è svanito, fuggito via da tanto tempo…”

Morì in quel lontano giorno quando capì che gli altri ridevano dei suoi stupori, delle sue ingenuità!

Quando altri osarono mettere alla prova tutta la veridicità della sua essenza, con l’inganno ,a sopraffazione.

E lei fu lì, sbigottita ma vincitrice, rimase inerte come una bambola sgualcita ma intatta!

Riprese la sua bicicletta, raccolse tutte le sue forze, gli occhi colmi di lacrime, spalancati da uno stupore che forse sarebbe più giusto chiamare incredulità, incubo follia!

Molto tempo è passato da allora.

Una sera, d’estate però, in una di quelle sere in cui la calura sembra togliere il respiro ed affannare il corpo, e la mente non riesce a gestire la smania del cuore, ecco che ad un tratto, quale ospite inattesa, le sopraggiunse la noia. Forse volle pietosamente sostituirsi ai ricordi, mascherare con la sua abulica essenza, i più dolenti morsi di struggenti pensieri, che la memoria custodisce, o meglio, difficilmente vuole cancellare.

Presto la noia cedette il posto alla nostalgia, ai rimpianti, allo scoramento per una giovinezza ridotta a brandelli perché vissuta male, tra conflitti e tristezze e le inquietudini per l’affannosa ricerca di qualcosa di troppo grande, che finalmente desse una risposta a tutti i suoi perché. Fu cosi che quella sera, si abbandonò ai ricordi rivide : le spiagge solitarie in cui in inverno si potevano solo udire i sibili di un vento inclemente; ripensò agli scogli bruni da cui impavida si tuffava…. Le sembrò risentire gli stessi brividi di un tempo, gli stessi tremiti di allora….

Con gli occhi adesso tremuli, rivide la stazione di Milano, di Salerno di Catania… le parve udire lo sferragliare di un treno in arrivo.

Rivide come offuscato. sbiadito, un volto, un sorriso ora ironico, beffardo, ora dolce e pieno di una velata tristezza.

Si strinse nelle spalle, senza più alcuna emozione mormorò quasi con voce dura: “E’ la noia che mi porta a ricordare.”

di Francesca Piazza

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“QUINDICI ANNI” ha partecipato all’edizione 2011 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”.

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