Pensando a te, Sciacca – Un viaggio tra terra, cielo e mare

Il viaggiatore aspetta la tua comparsa, il principio della tua ombra, del tuo volto, una tua apparizione. All’interno del pullman attende paziente, ti immagina, ti disegna ideologicamente nella testa. Un’idea.

Una lunga striscia grigia si ripete monotona davanti ai suoi occhi, ai lati, ripetitive e veloci terre di ulivi, di alberi, di magnifiche creature. Poi, all’improvviso, fai un inchino e accenni un sorriso, dolce smorfiosa! Entri in scena frenetica come sempre.

La solita lunga discesa, il pullman che scorre verso di te sembra afferrarti dall’alto come un giovane falco, la strada gira su se stessa e tu, cara città ti sveli al tenace e paziente ricercatore. Ti agiti, stacchi le tue nude gambe da terra per correre da lui come un’amante al ritorno del suo soldato, come una bimba triste e capricciosa lo abbracci, lo travolgi, lo avvolgi per non lasciarlo pi per inghiottirlo.

I tuoi sono figli del mare, pescare il loro mestiere, si distendono sulle tue acque aspettando la mattina quando chiara appari, illuminata da quelle tenue luci, intimidite dal tuo risveglio. Ti omaggiano con leggende, storie fantastiche che cullano la tua gente, gente difficile, capace di convertirsi, di tradire e umiliare la loro madre. Gente ingrata. Ma tu sei sempre là ferma, ad aspettare un loro ritorno, una loro carezza capace di farti dimenticare le troppe amarezze che la vita ti disegna sopra. Incisione su pelle di carta.

Il viaggiatore ti visita, si aggira per le strade, per i vicoli che parlano di te, della tua storia, a quanti popoli ti hanno attraversato, calpestato, lasciando odori e colori.

Tu, labirintica città custodisci ingenui stupori, di aquiloni gettati al cielo, di panni che ondeggiano liberi, concediti a quelle giovani mani che vogliono solo catturare, fissare il tuo profilo, ritrarre la tua presenza.

Schiuma di mare, passeggi e ti fai ammirare, illusione di un luogo che sembra non esistere, ti lasci odorare e mordere, piccolo e dolce essere salato, deliziosa provocazione.

Sciacca meretrice, Sciacca notturna, quante volte ti ho visto e quante volte lui riuscirà vederti, assonnata, con le occhiaie; appena sveglia lui ti spierà correndo su quella bicicletta rossa, forse un po’ troppo rumorosa per te, amata donna, che lasci nel cuore quella voglia di tornare, quel desiderio di non lasciarti più.

Balli nelle danze carnevalesche tra maschere e volti, tra illusioni e realtà sali sul palco e reciti la tua parte, pignola come sempre. Viso di carta, maschera di pelle, ubriaca del vino rosso della tua terra, sveli teatralmente la vita smascherando l’ipocrisia della tua prole.

Umoristica cittche riveli a noi anche il lato più scuro e nascosto della luna, ci lasci sorridere e piangere del nostro aspetto, noi, pupazzi di cartapesta, che rimaniamo perplessi a guardare e a cercare di capire il mondo da quel buco di carta che filtra solo vani bagliori e soffici nuvole.

Tu sei tutto e non sei niente, sei terra arida, porto di mare, donna svogliata e malamente amata, cambi pelle e trasudi di sale, ti trasformi deformando la realtà giochi con la vita cambiando vestito, e noi, la goderci il tuo spettacolo, la tua comica tragedia cercando in te la perduta Verit Ed il giovane viaggiatore, ti legge attento e appunta sul suo taccuino mentre tu, giovane fanciulla mediterranea, ti lanci in una sinuosa danza senza coscienza e razionalità catturata dallo spirito che aleggia su di te e che non ti lascia andare, scappare come tu vuoi.

Gli ulivi di notte sembrano custodi che vegliano sul tuo corpo dormiente. Volti scolpiti sullo scuro legno che scorgono in te la loro ragione d’essere, spigolosi e severi, sono gli antenati della tua terra, il Mito che ti accompagna e ti distingue.

E’ arrivato il momento della partenza, il viaggiatore rammaricato sistema i bagagli di fronte la porta. Esce fuori sul balcone e si siede. E lui che si lascia guardare, ora. Avvicina la sua mano al tavolo e prende dal piatto un fico, poi spezza il pane e mangia. Una strana ma originale combinazione capace di deliziarlo e saziarlo.

Dentro la casa, il silenzio, il tuo respiro.

Le tende attentamente ricamate si muovono spostandosi come un’altalena spinta da un soffio marino, e tu sorridi divertita da quel gioco.

Tutto tende a svanire come in un sogno lontano, le strade si riempiono di foglie gialle invecchiate, le stagioni passano, il tuo viso di argilla si secca lasciando profondi solchi mentre gli occhi cercano di trattenere quella vitalità che vuole sfuggirti e che tu, docile madre, lasci andare.

Una leggera brezza di mare agita le pagine del diario e così le mani del giovane scrittore corrono apprensive a fermare quelle parole, che intrepide, cercano di staccarsi dal loro mondo di carta assaporando un po di meritata libertè di sana carnalità Privo di compassione, non si lascia commuovere, chiude il taccuino e lo custodisce gelosamente nella borsa. Ora pronto a partire, non gli manca nulla, le sue parole sono lche gli siedono accanto. Immagini e sensazioni sono state colte e fissate.

Il viaggiatore volge le spalle all’amata terra, lascia il volto di quella donna scurita dal sole che affacciata alla sua terrazza, come una sirena impazzita, canta e si prepara per l’arrivo del suo prossimo Ulisse.

Un altro viaggio, un altro percorso, attendono le tue gambe, ormai stanche, giovane viso di uomo senza dimora che non vuole più fermarsi, che non riesce a lasciare la sua terra. Scappi e sfuggi dal tuo lieto fine che tante volte hai scelto metodicamente per i tuoi personaggi, e lnoi immersi in quella lettura febbrile che ci coglieva, da cui non potevamo allontanarci, distrarci, noi attaccati al tuo foglio da un legame invisibile e straziante che ci consumava ma ci nutriva (un ossimoro pacifico e benefico!), tu allo stesso tempo creatura di un poeta volutamente oscurato. Ora, tocca a te, stimato compositore di montagne innevate e di prati verdi selvaggiamente sfregiati dalla nostra rabbia, dalla nostra ferocia di piccoli soldati senza speranza, che lottano contro l’impossibile, che cercano l’impossibile, di imbracciare lo zaino e calpestare il viale del ritorno. Tu, nascosto scrittore-personaggio, lasci la scena, il lungo tragitto che ti ha voluto fino a qui, a chiudere le ultime pagine di questo bizzarro manoscritto che ha il titolo di reportage ma che sa di non avere appartenenza: figlio meticcio e fin troppo contorto da capire, libero si sprigionava dal ventre materno della creazione senza avere un senso, senza rispondere ad una logica. Lo stimolo era quello di cantare la terra siciliana come una donna, perché veniva sentita e percepita così come un essere femminile che aveva confortato e protetto chi l’aveva visitata e incontrata ma con il dovere di dare una spiegazione a questo intreccio a tratti nebuloso e distorto.

L’inchiostro si era sciolto e fluido scorreva dalla penna, impossibile era mettere un freno a quel fiume in piena che qualsiasi principio di razionalità avrebbe sconfitto e distrutto, ed io non potevo non farmi trascinare da quel maremoto che tutto faceva tremare.

Ora, caro personaggio, ti spoglio dei vestiti da viaggiatore e ti lascio andare via, scioglierai in una macchia nera d’inchiostro che riprenderà domani nuova forma e rumore.

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di Valeria Moriconi

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“Pensando a te, Sciacca – Un viaggio tra terra, cielo e mare” ha partecipato all’edizione 2011 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”.

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