Le mani di mia madre

 Nella mia passione per lo scrivere, potrei raccontare di tutto. Sono mamma e nonna e… ripeto potrei dire tanto. Ma il mio pensiero fisso è mia madre. Lei è malata di Alzheimer da circa cinque anni e da quel tempo è a casa mia. Nel passato siamo sempre state in conflitto io e lei, come, del resto, tutti i figli di questo mondo.

Però è sempre mia madre.

Questo male la sta torturando e credo un pò anche me. Passa da una fase di perfetta lucidità, a un’altra di totale assenza. Quando è assente la devo imboccare perchè non riconosce il cibo, nè tutto quello che la circonda. Però, quando le faccio vedere la tazzina con il caffè avviene il miracolo. La riconosce e sorride, alza le mani, per me bellissime, come a voler prendere la tazzina, io l’aiuto a tenerla e lei con le dita diventate un pò storte per le artrosi, la prende per il manico e poi sorseggia lentamente quel nettare, di cui è sempre stata molto ghiotta. Non si accorge, però, che le faccio il caffè decaffeinato. Le mani di mia madre sono state sempre molto speciali per me.

Da bambina quando avevo la febbre e stavo a letto mezza appisolata, la sua mano fresca si posava sulla mia fronte ed era per me come un toccasana, mi faceva una carezza e poi mi diceva con voce forte e senza tante cerimonie: “Avanti, avanti, chi ora ti passa.” (Dai, dai! che adesso ti passa) A volte diventavano violente, quando con qualche sonoro scapaccione dato di santa ragione, a chi di noi tre figli faceva qualche marachella, ci ricordavano che era meglio rigare dritti. Per me quelle punizioni erano sempre qualcosa di tremendo, la mia coscienza non aveva pace fino a quando non riuscivo a rubare a mia madre un sorriso dalle sue labbra e una carezza dalle sue mani.

Quanta tenerezza e quanta esperienza c’erano in quelle mani!

Quando faceva la pasta di casa e avvolgeva la sfoglia al matterello per assottigliarla, procedeva con tanta maestria, che per me era impossibile imitarla, anche quando poi sono diventata grande. Eppure anche se è vero che le temevo, io adoravo quelle mani e le ammiravo. Guardavo mia madre tessere al telaio le belle tele di cotone, che servivano per fare le lenzuola per il corredo mio e di mia sorella. Le sue mani si muovevano con particolare armonia e destrezza nel far scorrere la navetta, (spoletta) che faceva passare il filo della trama, tra i fili dell’ordito. Si andava, poi, per dei giorni interi al canale che c’era a Makani, vicino al paese, dove l’acqua, allora, abbondava, a bagnare quelle tele lunghe più di nove metri, per farle diventare bianche. Io e mia sorella aiutavamo la mamma a stenderle sull’erba al sole e così col bagna-asciuga, dalla mattina alla sera, in pochi giorni diventavano bianche come la neve.

Le sue mani tiravano da tutte le parti quelle tele per farle diventare morbide e perfette ed io che volevo sempre imitarla, ci provavo ma diventavo goffa e lei che mi guardava ci rideva sù di gusto. Le tele così lunghe andavano poi divise in tre e cucite a mano per il lungo, dalle mani sapienti di mia madre, così che ne venivano fuori dei bei lenzuoli per il nostro corredo. Splendide mani morbide e curate quando ricamavano, mani che poi, diventavano ruvide e graffiate mentre mietevano il grano o mentre vendemmiavano, oppure raccoglievano la legna durante la potatura del vigneto.

Eravamo molto poveri e mio padre si arrangiava come poteva, per tirar su la famiglia. Andava a lavorare a giornata dai ricchi possidenti, ma c’erano dei periodi che non c’era lavoro e quindi mancavano i soldi per comprare tutto il necessario per noi. Mia madre allora alzava le mani verso il cielo e come ad implorare un aiuto divino diceva: “Signuruzzu meu comu fazzu ora?” (Signore mio come faccio adesso?)

Magari piangeva per la disperazione contro la sua stessa volontà. Infatti quando si calmava diceva:

“Anchi si chianciu chi cunchiuru?” (Anche se piango che cosa concludo?)

Splendide sempre e con tanto fascino quelle mani, da far invidia anche alle più snob delle star di tutti i tempi. Sapevano fare di tutto e mai si tiravano indietro; passavano dai lavori più umili, come pulire la stalla del nostro mulo, ai lavori più gratificanti come impastare il pane o fare la cassata siciliana. Cara la mia mamma! Adesso le sue mani non svolgono più tutte quelle azioni che l’hanno resa grande ai miei occhi.

Molto spesso, aspettano il comando del cervello, che purtroppo non arriva. E allora se ne stanno abbandonate sul suo grembo, sempre belle ma rinsecchite, prive di quella forza vitale che l’hanno resa importante ai miei occhi e a tutta la mia famiglia. Ogni tanto, quando si innervosisce per qualcosa di cui io non riesco a scoprirne la causa, alza le braccia e muove le mani in alto verso il cielo, con il suo tocco di inconfondibile eleganza. Vuol farmi capire che siamo tutti matti.

Visto com’è la vita oggi, non credo che abbia tutti i torti. Mentre guardo quelle mani che volteggiano in alto, con la mia solita fantasia le paragono al movimento delle farfalle quando volano libere nell’aria. Vedete? Ancora una volta le sue mani riescono a stupirmi. E lo fanno ancora quando i miei nipotini giocano con la palla dentro casa mia e la sfiorano passando vicino a lei, che siede nella sua poltrona. Allora lei cerca di prendere quella palla che vola nel piccolo soggiorno e ride con loro, che, contagiati dalla sua risata infantile ridono divertiti. Appena riesce ad afferrarla con le sue mani pallide, la tiene un pò stretta a sè e poi la tira, ridendo felice come una bambina spensierata, al mio nipotino più piccolo, perchè per lei è giusto così. Poi le mani le ricadono sul grembo, lei le guarda e le gira e rigira tentennando il capo. Chissà se nella sua mente ritorna il pensiero a quella vita passata in cui non stavano mai ferme.

A volte mi arrabbio e mi scoraggio per le difficoltà della vita di ogni giorno e magari piango sconsolata. Mia madre, allora, se è in sè e se ne accorge mi fa una carezza amorevole e mi pizzica il naso con le sue mani speciali. Io mi accoccolo ai suoi piedi e resto così, in attesa che passa quel momento di sconforto.

Sono certa che anche fra migliaia di mani saprei riconoscere quelle di mia madre.

 

Maria Stabile

Vita (Trapani)

 

Il racconto “Le mani di mia madre” ha partecipato all’edizione 2012 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca” nella sezione “Racconti a tema libero in italiano”.

 

 

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