Le lettere ai morti

Invecchiando nonna Semi cominciò a far sempre più caso ai presagi.

Fu quando ricominciò a sognare. Dopo una vita passata a svegliarsi al mattino immemore, uscendo dal sonno con la mente sgombra, come se qualcuno le avesse vietato di portarsi dietro i propri sogni, un giorno cominciò a ricordarseli al risveglio come quando era bambina.

Il sonno le aveva procurato fino ad allora il suo ristoro senza tener conto della persona, come  la sorgente non si cura di sapere chi beve la sua acqua. Da quel giorno invece diventò per la nonna un tormento nell’attesa del sogno che avrebbe portato, e con il sogno i presagi che ne avrebbe tratto.

Analizzando nel dormiveglia le complicate e vaghe immagini che le restavano in testa al risveglio, i presagi le si presentavano all’improvviso, in una folata di lucidità soprannaturale, con una certezza assoluta e perentoria. In qualche caso erano così naturali che non li riconosceva come presagi se non quando si realizzavano. Spesso non erano altro che comuni attacchi di superstizione. Ma il più delle volte erano chiari e credibili, precisi e netti come il taglio di un coltello.

Fu così che quando notò la coincidenza di un sogno ricorrente sempre dimenticato e un bel giorno ricordato, con l’arrivo di sua nipote seppe che la fine del mondo e della sua vita erano prossimi.

   Un pomeriggio durante una breve siesta sognò di entrare in una casa disabitata, ricca e piena di mobili e oggetti preziosi, e di sentirsi sconcertata perché capiva di essere la prima persona che vi entrava. Nel sogno si ricordò di aver sognato la stessa cosa la notte prima e molte altre notti negli ultimi anni, e seppe che l’immagine le si era cancellata dalla memoria al risveglio, perché quel sogno ricorrente aveva la virtù di essere ricordato solo dentro al sogno stesso. Ma quel pomeriggio un rumore improvviso che veniva dalla strada la fece svegliare con il batticuore e in quel momento il sogno con tutte le sue innumerevoli repliche passate le si incise nella mente, e fu per sempre. Contrariamente al solito, sul momento non seppe trarre un presagio preciso da quella strana visione rivelata così in ritardo. Fu più tardi, quel giorno stesso, quando la venne a trovare sua nipote, che tutto risultò chiaro.

   Sono quindici anni che non ti fai vedere, disse.

Era vero. Benché vivessero vicine, nonna e nipote non si frequentavano.

   Il tempo passa senza far rumore, rispose la donna.

Poi entrò subito in argomento perché aveva una certa fretta: voleva raccogliere un po’ di albicocche nel giardino sul retro perché intendeva fare la marmellata per il tè del mattino. E allora nonna Semi capì:

   È tutto tempo perso. Quest’anno ci sarà la fine del mondo.

La nipote le lanciò uno sguardo di commiserazione.

   È scritto, continuò nonna Semi. Il sangue scorrerà nelle strade e non ci sarà forza umana in grado di arrestarlo.

   Faremo il bagno nel sangue…, provò a scherzare la nipote.

   Pioverà cenere infuocata sulle nostre teste, e ci mangeremo l’un l’altro per tentare di sopravvivere. Ma sarà tutto inutile.

Un minuto dopo che la nipote se ne fu andata con due sporte di albicocche, nonna Semi trasse un corollario dal presagio universale della fine del mondo: seppe che sarebbe morta entro una settimana, ben prima della fine del mondo.

   Allora si vestì con cura e andò dal fornaio lì vicino, quello da cui tutti passavano almeno una volta al giorno. E disse a Mele, il proprietario, di comunicare a tutti che, siccome sarebbe morta di lì a poco, lo sapeva per certo, era disposta a portare le lettere ai morti. Un incredulo cliente che era lì domandò:

   Morire con questa bella stagione? Non ne vale la pena, non crede?

   Credo solo ai presagi, rispose nonna Semi.

Mele ai presagi ci credeva anche lui, e prese la cosa molto sul serio. Prima di sera tutto il paese sapeva che nonna Semi stava per morire e avrebbe portato le lettere ai morti.

Il giorno dopo lei mise una cassa sotto il portico, a disposizione di chi voleva lasciare missive; la sera era piena per metà di lettere e anche qualche cartolina. Qualcuno per inesperienza o per pigrizia non voleva scrivere. Allora bussava alla porta e nonna Semi lo tranquillizzava con un: Non si preoccupi, e in un suo libricino prendeva nota dei messaggi verbali, del mittente e del destinatario.

   La prima cosa che farò arrivando sarà quella di cercarlo e trasmettergli la sua ambasciata.

   Il quarto giorno si presentò un tizio con un messaggio per la moglie defunta da trascrivere sul librici-

  1. Nonna Semi lo guardò in viso e disse:

   Certuni o certe cose hanno dentro un presagio del loro futuro, come la foglia del gelso che nella mano fa un fruscio di seta. Tu sei una di quelle persone. Non serve che tu mi dia il messaggio per tua moglie: morirai prima di me e glielo darai tu stesso.

Il tizio se ne andò facendo le corna e girandosi indietro a maledire nonna Semi che tranquillissima lo osservava seduta sotto il portico presso la cassa ormai piena di lettere. Era così arrabbiato che traversò la statale senza dar retta al semaforo, fu investito da un camion e morì sul colpo.

   Anche questa notizia si sparse in un baleno e le lettere nella cassa raddoppiarono di colpo. La gente si rammaricava che queste capacità divinatorie non le fossero state rivelate prima: avrebbero potuto giocare al lotto, o scommettere sulle partite di calcio.

E cominciò ad assediare la casetta di nonna Semi supplicandola di farle un ultimo regalo, di darle i numeri, di dire se doveva sposare Caio o Sempronio, se emigrare in Inghilterra…

   Nonna Semi chiamò la nipote che la trovò col suo solito aspetto, nemmeno il più piccolo segno di preoccupazione o dolore, perfino un po’ ringiovanita perché lieta di poter disporre ogni cosa in accordo al presagio nel quale non poneva il minimo dubbio.

Era diritta e svelta come sempre, e la si sarebbe detta molto meno vecchia di quel che era in effetti, se non fosse stato per la mancanza di qualche dente e per i seni rugosi, come fossero stati lavati e non stirati, che apparivano all’inizio della scollatura quadrata del suo vestito da casa.

   Nonna, mi sembri ringiovanita!

   Il tempo passa, altroché!, rispose nonna Semi, e rabbrividì constatando la contraddizione, perché era la stessa risposta che le aveva dato sua nipote qualche giorno prima, e dunque il tempo in realtà non passava ma continuava a girare in tondo.

Poco dopo suonò un falegname, a cui la nonna chiese di preparare una cassa catramata in cui collocare le lettere nella tomba, in modo da preservarle meglio dall’umidità. Poi l’uomo le prese le misure della bara: in piedi, in cucina, come fosse per cucire un vestito nuovo.

Era animata da una tale energia che la nipote pensò si trattasse tutto di uno scherzo, e aderiva alle richieste della nonna con allegria, sorridendo, come se si trattasse di un gioco.

Divise le sue poche cose tra i poveri, la casa coi mobili passando già di proprietà della nipote alla sua morte. Per sé conservò solo il vestito e le scarpe di vernice col mezzo tacco che avrebbe indossato per attendere la morte. Non aveva preso alla leggera quella precauzione, perché si era ricordata della morte del marito, quando era stata costretta a seppellirlo con un paio di pedule da montagna perché tutte le sue scarpe da città erano così scalcagnate da essere impresentabili.

   Sollecitato dalle chiacchiere della gente, venne don Gilberto col viatico e un chierichetto col cero. Si sedette in soggiorno ad aspettarla perché era in bagno. Quando nonna Semi uscì vestita col vestito della morte e le scarpe di vernice il prete pensò che si trattasse di una burla, mandò a casa il chierichetto e nascose l’olio santo. Ma cercò di approfittare dell’occasione per confessare nonna Semi. Questa rispose che non aveva bisogno di nessuna assistenza spirituale perché si sentiva a posto con la coscienza.

   Quale immondo peccato avrete mai commesso se preferite una morte sacrilega alla vergogna della confessione?, domandò il prete incredulo.

   Sono a posto così, fu la secca risposta.

Venne sera, e la nipote le chiese se doveva restare per la notte.

   Non è il caso, ma lasciami il cane, rispose nonna Semi.

La nipote dopo una giornata che a lei era sembrata di farsa si accomiatò con uno scherzo, assicurando che la domenica seguente avrebbero fatto la baldoria della resurrezione, con cantucci e vin santo. Ma il sorriso con cui nonna Semi l’aveva salutata le restò dentro tutta la notte e la fece tornare l’indomani  sul presto.

   Nel portico una seconda cassa era stata aggiunta per contenere le lettere arrivate nel frattempo.

Nonna Semi era sdraiata sulla coperta del suo letto. Il falegname aveva portato la bara e lei l’aveva fatta disporre vicino a sé.

   Questa notte non ho sognato, disse. Ormai non ne ho più bisogno.

Chiese uno specchio per pettinarsi un’ultima volta. Lo fece con tranquillità e senza chiedere aiuto.

Poi appoggiò la testa sul cuscino e chiuse gli occhi.

Alessandro Cuppini

Il racconto “Lettere ai morti”  ha partecipato all’edizione 2014 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”, classificandosi al SECONDO POSTO della sezione “Racconti a tema libero in italiano”.

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