La voce dei muri

Nessuno aveva mai voluto credere a quella strana storia dei muri a secco che parlavano di notte, eppure qualcuno – non solo tra i più fantasiosi – giurava di aver sentito veramente quelle voci, anche se poi all’alba non ricordava più nulla. Alcuni, più per la curiosità che spinti dal desiderio di ascoltare ciò che dicevano, avevano provato a nascondersi di notte, senza la luna, ma l’unica cosa che avevano scoperto all’alba era solo quella di aver perso tempo e anche sonno.  A Lucio questa storia non lo lasciava proprio in pace e voleva saperne di più. Anche lui, una sera, che era andato a cercare lumache dopo una pioggia abbondante, aveva avuto l’impressione di sentire delle strane voci provenire da un muro. Dopo un attimo di incertezza, si era però convinto che quelle voci, in realtà, erano solo il rumore della pioggia che attraversando le pietre, tra una cavità e l’altra, finiva per creare dei suoni simili a voci umane, ma era solo un’impressione. Un’altra volta, tra la rabbia di essere rimasto inutilmente sveglio tutta la notte e il timore di essere preso in giro dagli amici che lo avevano visto uscire di casa col buio senza più farvi ritorno, aveva finito per abbattere un muretto, nell’insano intento di scoprire chi o che cosa si celasse sotto quelle pietre così abilmente accostate. Niente, non aveva trovato niente, solo pietre, pietre su pietre! Tornato a casa aveva provato a non pensarci più, ma i suoi pensieri finivano sempre per ritornare a quei muri. Tutto portava nella stessa direzione e cioè che quelle voci erano solo il frutto di un’immaginazione troppo grande, ma a lui il dubbio lo tormentava sempre.

Anche sua moglie aveva cercato di convincerlo che quella era solo una storia inventata e che i muri non potevano parlare. Una di quelle storie, aveva detto, inventate dai contadini per tenere i cacciatori lontano la notte, o magari messa in giro da qualche ladro per poter “lavorare” indisturbato nel buio, ma lui non voleva sentire ragione.

Una notte si era preparato di tutto punto: pantaloni neri, maglia nera, giacca nera e berretto nero. Aveva messo anche un paio di guanti neri e si era tinto la faccia  con il nero del camino; tutto doveva essere perfetto per non farsi scoprire. Uscì dalla finestra sul retro e s’incamminò lentamente verso il luogo dove tutti dicevano di aver sentito parlare i muri. Come un ladro – che non ha ancora rubato niente – avanzava a piccoli passi finché, giunto nei pressi del posto, si accostò dietro un cespuglio di rovi da dove era sicuro di poter sentire senza essere visto. Le prime ore furono interminabili, sempre con il nodo in gola.  Quando dopo un’altra ora, che sembrò ancora più interminabile, stava per desistere, gli sembrò di sentire una voce provenire proprio da dietro un muretto, ma non riusciva bene a capire che cosa dicesse. Era una voce strana, non proprio sconosciuta, dal tono basso e pacato, una voce maschile che cominciava a parlare sempre più distintamente. Iniziò a raccontare di una giovane ragazza che aveva sposato un giovane molto innamorato di lei e di come i due fossero legati da un grande amore. I primi anni di matrimonio lui era sempre premuroso e non mancava giorno che non le portasse un fiore, o anche solo un ramoscello, che lei subito si premurava di mettere in un piccolo vaso sopra la mensola del camino, accanto a un portafoto con una fotografia del giorno del loro matrimonio.  Desideravano tanto l’arrivo di un figlio ma gli anni passavano e figli non ne arrivavano. Con gli anni, cominciarono a passare anche le reciproche attenzioni e tutte quelle tenerezze che – nei primi anni – li avevano resi tanto felici diventarono solo un ricordo. Si volevano ancora bene ma il tempo dei fiori e dei ramoscelli era ormai passato. Il vaso cominciò a restare vuoto sempre più spesso, finché fu definitivamente tolto dal posto in cui era, per essere messo in soffitta, tra le cose inutili.  Un giorno l’uomo si accorse che il vaso non era più al suo posto e pensò che forse era caduto e si era rotto, o che magari sua moglie lo aveva tolto per dare un’aria diversa alla casa. E in effetti, sua moglie lo aveva tolto proprio per dare un’aria diversa alla casa: per rendere un po’ meno felice quella casa che, senza figli, felice non era; ma lui non poteva saperlo. Non disse nulla alla moglie, le cose di casa erano cose di donne e lui aveva altro a cui pensare. Una sera, mentre sistemava la legna nel camino, notò che dalla mensola mancava qualcos’altro: il vaso era molto piccolo e – specialmente vuoto – poteva passare inosservato ma il portafoto no, così in maniera molto spontanea chiese alla moglie che fine avesse fatto quel portafoto. Lei era in cucina, intenta a preparare la cena e rispose che, temendo si potesse rompere, lo aveva tolto per metterlo al sicuro in soffitta, insieme al vaso – tra le cose inutili. Lui fece un cenno di assenso, come a dire che aveva sentito, anche se in effetti non aveva capito. Iniziarono a mangiare in silenzio, tanto a parlare la televisione bastava e avanzava. Finita la cena lei sparecchiò la tavola e cominciò a lavare i piatti mentre lui stava seduto in silenzio a guardare un film che non riusciva proprio a seguire. Aveva intuito che nel loro amore si era rotto qualcosa, ma non riusciva a capire che cosa. Provò a dire qualcosa, per cercare di chiarire, ma le parole gli restavano in gola e rischiava di strozzarsi, tanto che ebbe alcuni colpi di tosse. Erano come grida soffocate che non riuscivano a svelarsi, così con la scusa di prendere un po’d’aria uscì fuori. C’era freddo ma lui si sentiva ribollire dentro; era una strana sensazione che non provava ormai da tanto tempo: stava soffrendo. Lei intanto era andata a dormire –  senza di lui – tanto non era la prima volta, anzi finiva sempre così, che lui per un motivo o per l’altro andava a letto dopo, quando lei già dormiva. Ogni mattina lui si alzava presto, mentre lei ancora dormiva e così le notti non erano notti ma solo buio. Avrebbe voluto abbracciarla come nei primi anni di matrimonio, quando la sera si addormentavano sempre abbracciati, ma era ormai troppo freddo per poterla scaldare, e non solo perché era stato fuori. Cominciò a rendersi conto che da quando aveva capito di non poter essere padre, aveva anche dimenticato di essere marito e, come il piccolo vaso che senza fiori non serviva più a nessuno, così anche lui, senza più gioia di vivere non era servito a dare amore alla moglie e a rendere bello il suo matrimonio. Si era tirato fuori da solo e così era stato messo in disparte, facendo la fine del vaso che era in soffitta, tra le cose inutili. Anche il suo matrimonio, dai primi anni felicissimi, aveva finito per diventare come il portafoto, solo l’immagine di un ricordo che non interessava più a nessuno, e che a esserci o meno era ormai indifferente, proprio come quelle cose inutili che in soffitta facevano compagnia al vaso. Triste e infreddolito entrò in casa ma invece di andare in camera da letto si diresse verso la soffitta, dove si adagiò lentamente vicino al vaso e al portafoto, e si addormentò profondamente, tra le cose inutili.

All’alba Lucio si svegliò infreddolito e dolorante, per aver dormito tutta la notte fuori, vicino a un cespuglio di rovi, e non ricordava niente di ciò che era successo. Tornò a casa stanchissimo e appena vide sua moglie la abbracciò teneramente, come ormai non faceva da troppo tempo e, sussurrandole un dolce ti amo, la baciò su una guancia. La moglie, stupita e anche un po’ spaventata, pensò subito al peggio e cioè che forse era caduto e aveva sbattuto la testa o che magari ancora era uscito proprio di senno ma, guardandolo in faccia, notò nei suoi occhi una luce, la stessa luce dei primi anni di matrimonio. Sentì che anche la voce era cambiata, aveva qualcosa di diverso e con un certo timore gli chiese cosa fosse successo. Lucio non ricordava più nulla, solo di essere uscito la sera prima per andare a sentire le voci dei muri ma poi si era addormentato e non ricordava più niente, a parte il fatto di essersi svegliato all’alba, vicino a un cespuglio di rovi, infreddolito e dolorante. Rimasero entrambi stupiti e anche un po’ sconvolti per quello che stava accadendo e che non riuscivano proprio a spiegarsi, ma quando Lucio, con un gesto spontaneo – che sapeva di lontano – alzò il braccio e lo tese verso la moglie, vedendo che nella mano stringeva delicatamente un fiore e due ramoscelli, si aprirono i loro cuori e all’improvviso tutto fu chiaro. Si  abbracciarono e scoppiarono a piangere. Ancora abbracciati si diressero verso il camino dove, sopra una mensola, stavano un piccolo vaso vuoto e accanto un portafoto impolverato. Lei piangendo mise il fiore e i ramoscelli dentro il vaso e la foto sembrò ancora più bella.

Lucio, la sera prima, era uscito per andare a sentire la voce dei muri ma poi si era addormentato e non ricordava più nulla. Il suo cuore era stato sveglio tutta la notte e ricordava ogni cosa, e di quella voce non dimenticò mai niente, neanche una parola.

 

                                                                                              Gaetano Lia

Monterosso Almo (RG)

Il racconto “La voce dei muri” ha partecipato all’ Edizione 2015 del Premio Letterario “Vincenzo Licata – Città di Sciacca”, classificandosi al PRIMO POSTO della sezione “Racconti a tema libero in italiano”.

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